giovedì 23 aprile 2020

Chicken pie con carciofi e asparagi


Nel mio lavoro molto spesso i clienti mi chiedono di presentare nelle loro cene o in un buffet qualcosa di insolito, che non sia la solita pizzetta o la solita tartina. In cima alla classifica delle mie proposte ci sono sempre le torte salate, puntualmente rivisitate a modo mio: quiche, tarte, pie che cambiano anima a seconda della stagione, del tema della ricorrenza o di richieste particolari del cliente.
Di solito le presento in monoporzioni, preparate in stampini per crostatine o per tartellette.
Una delle mie preferite è la Chicken pie: di derivazione anglosassone, la ricetta originale è a base di porri, funghi e pollo. Libidinosa!
Pur conservando la stessa libidine io di solito sostituisco i funghi con altre verdure di stagione: in questo caso asparagi e carciofi, in estate è strepitosa con i peperoni mentre in autunno un'altra abbinata vincente è con zucca e funghi. Ma il vero tocco è dato dalla béchamel fatta con brodo di pollo, senza latte. La trovo sublime, quella che veramente rapisce il gusto.
I miei clienti ne vanno matti, credetemi!
 



Pasta brisée di Michel Roux
250 g di farina
150 g di burro, tagliato a pezzettini e leggermente ammorbidito
1 cucchiaino di sale
1 pizzico di zucchero
1 uovo
1 cucchiaio di latte freddo
Procedimento
Versare la farina a fontana sul piano di lavoro. Mettere al centro il burro, il sale, lo zucchero e l’uovo, poi mescolarli e lavorarli con la punta delle dita.
Incorporare piano piano la farina, lavorando delicatamente l’impasto finché assume una consistenza grumosa.
Aggiungere il latte e incorporarlo delicatamente con la punta delle dita finché l’impasto comincia  a stare insieme.
Spingere lontano l’impasto con il palmo della mano, lavorando di polso, per 4 o 5 volte, finché è liscio. Formare una palla, avvolgerla nella pellicola e metterla in frigo fino all’uso.

Per il ripieno
1 pollo intero da circa 1 kg
400 ml di brodo di pollo
40 g di farina
40 g di burro
6 scalogni
250 g di cuori di carciofi
250 g di asparagi
50 ml di vino bianco
olio extravergine d'oliva
sale
2 rametti di timo
Per il brodo
Se si ha abilità (altrimenti farselo fare dal macellaio), disossare il pollo tenendo da parte la polpa che servirà per la pie mentre ossa, ali, testa, collo, zampe e interiora utilizzarli per il brodo insieme a: 
2 coste di sedano
gambi di prezzemolo
scarti di asparagi e carciofo
(quelli che servono per il ripieno) 
1 carota
1 cipolla
1 patata
2 pomodorini
1 chiodo di garofano
niente sale
Lasciar bollire a fiamma lenta e coperto per un paio di orette, poi lasciar raffreddare, filtrare e conservare in frigo. Il giorno successivo filtrare di nuovo appena tolto dal frigo per eliminare il grasso solidificato.

Misurare 400 ml di brodo (se è di più, lasciar ridurre sulla fiamma)e con questo fare una béchamel: sciogliere il burro in una casseruola, aggiungere la farina amalgamando bene con una frusta, aggiungere il brodo caldo continuando a girare fino ad ottenere una crema vellutata e densa. Aggiungere un pizzico di sale e lasciar raffreddare.


Nel frattempo pulire gli scalogni e rosolarli in un tegame con l'olio, aggiungere i cuori di carciofo e gli asparagi e continuare a rosolare a fiamma dolce per un paio di minuti con il coperchio; a questo punto aggiungere il pollo ridotto a tocchetti e far prendere colore.Sfumare con il vino, aggiungere il timo e il sale e far cuocere a fiamma vivace finché la preparazione risulti asciutta.
Spegnere e lasciar raffreddare.

Stendere 2/3 della brisée e sistemarla in una tortiera di 22 cm di diametro, incorporare la béchamel al pollo con le verdure e trasferire nella tortiera. Coprire con la pasta rimanente, sigillare i bordi, bucherellare con una forchetta e spennellare con uovo battuto.



Cuocere a 170° per 45 minuti. Dopo la cottura far raffreddare una mezz'oretta e sformare con delicatezza.




martedì 14 aprile 2020

La cucina degli scarti: Farfalle integrali con crema di gambi di prezzemolo, di cipollotto e di broccolo barese



La cucina degli scarti è stato sempre un tema a me molto caro anche se qui non l'ho mai affrontato.
E' la solitudine e la lentezza di questi giorni che mi permettono di vedere la routine con occhi diversi e apprezzarne il significato.
Tante cose si fanno in maniera automatica, perché consolidate nel tempo.
Magari cose che sono insegnamenti preziosi ricevuti in eredità da tempi immemori.
Mi spiego meglio.
Quando ero piccola ero affascinata da mia nonna per come faceva diventare lo scarto una risorsa.
Infilzava le bucce di melone giallo con un ago da lana su un lungo spago e le faceva essiccare al sole.
D'inverno poi le faceva cuocere nella pignata di terracotta, nel camino, le sciacquava e le saltava in padella con olio, aglio, peperoncino e tanto pomodoro. Una bontà rustica e corroborante!
In primavera invece appena arrivavano i primi cipollotti subito sulla tavola facevano bella mostra frittate profumate. Certamente non con il bulbo, quello lo metteva crudo nelle insalate, ma con i gambi, la parte verde.
Invece i gambi di carciofo dopo averli pelati li riduceva a pezzi e li accomodava al centro, tra i petali, per cuocere poi tutto insieme.
Così per altre preparazioni che ora non ricordo ma che la lentezza di questi giorni mi permetterà di continuare a richiamare alla memoria e a darmi la consapevolezza che quello che mi viene da fare in automatico in cucina certamente non è un dono speciale ma l'aver osservato e "respirato" certi modi di fare che ho custodito e poi attualizzato.
Per cui, per me lo scarto non è stato mai scarto: gambi di prezzemolo per gustosi soffritti; foglie di broccoli per polpette vegetariane (dove metto sempre anche la crosta del pane); bucce di melanzane ridotte a julienne e fritte per decorare uno stracotto; barba di finocchio per dei gustosi primi con la salsiccia; poi nei minestroni secondo la stagione: baccelli di piselli, gambi e foglie di cavolfiore, ciuffi di carota (che non ho mai pelato ma pulite con apposita spazzolina).
E quando preparo la pasta con il broccolo pugliese pensavate che usassi solo le cime? Tutto il broccolo, compreso torsolo e foglie.

Ingredienti per 4

350 g di farfalle integrali
400/450 g di broccoli pugliesi
gambi di prezzemolo
gambi di cipollotto novello
scorza di parmigiano
4/5 pomodorini datterini
4 cucchiai di olio extravergine d'oliva
peperoncino
sale

Preparazione
Pulire il broccolo eliminando le foglie, dividerlo in cimette e tenerle da parte.
Ridurre il torsolo a dadini pelando eventualmente le parti più dure.
In un tegame scaldare l'olio, aggiungere il peperoncino,i gambi di prezzemolo e di cipollotto( tenerne un po' da parte) e far soffriggere dolcemente.
Aggiungere i dadini di broccolo e le foglie, la scorza di parmigiano e mezzo bicchiere di acqua. Salare,incoperchiare e lasciar stufare una ventina di minuti.Trasferire in un mixer(eccetto la scorza di parmigiano) e frullare. Nello stesso tegame aggiungere le cimette di broccolo e far cuocere una decina di minuti.
Nel frattempo cuocere la pasta.

 
Aggiungere al broccolo la crema, i datterini tagliati in quattro e il restante gambo di cipollotto a julienne. Scolare la pasta al dente, trasferirla nel tegame  e mantecare a fuoco vivace per un paio di minuti.
Lasciar riposare e servire.

Secondo i gusti personali si può completare con una spolverata di pecorino o di parmigiano; con dei pinoli tostati; nel sugo ci stanno bene delle olive nere o se si ha a disposizione una striscetta di cotica di speck.

giovedì 19 marzo 2020

Le zeppole di San Giuseppe al forno



Stiamo vivendo un brutto periodo, una quarantena che ci tiene lontano dal lavoro, dalle persone care e da abitudini radicate. Stiamo riscoprendo forse aspetti insoliti delle nostre vite, un'essenzialità che non conoscevamo.
Con tutto quello che si percepisce dalla realtà, certo non c'è nulla da festeggiare... ma io, come tanti mi rintano in cucina per smorzare paure e ansie: per me impastare è terapeutico, attraverso le mani riesco a scaricare le mie preoccupazioni.
Ho aperto questo blog quando stavo attraversando uno dei periodi più brutti della mia vita e a distanza di quasi 10 anni ho capito che è stato necessario per non  soccombere a una realtà molto più grande di me.
E ora mi ritrovo di nuovo con il cuore in gola, la preoccupazione è diventata la mia compagna silenziosa e spesso mi ritrovo a dire, come tutti: andrà tutto bene.
Oggi sentivo che non c'era nulla da festeggiare, però avevo bisogno di mettere le mani in pasta e avevo bisogno di dare ai miei figli una parvenza di realtà meno drammatica di quanto sia, per onorare il loro papà e il mio compagno di vita che mi sostiene e mi incoraggia continuamente, nonostante le sue preoccupazioni.
Per cui ho voluto cimentarmi per la prima volta nella preparazione delle zeppole di San Giuseppe.

Quando ho bisogno di una ricetta collaudata, che mi riesca al primo tentativo ho un riferimento sicuro : Antonia Russo del blog Appunti di cucina di Rimmel.
Lei è figlia e sorella di pasticcieri, ma la cosa più bella che abbia mai potuto fare è quella di condividere in rete le ricette del suo papà, scritte a mano su un quaderno (da qui l'infallibilità).

Ingredienti
Per la pasta bignè delle zeppole al forno
250 g di farina
250 g di acqua
200 g di burro
6/7 uova
1 pizzico di sale

Far bollire l'acqua con il burro tagliato a dadini e il sale.
Versare la farina in un solo colpo e amalgamare con una spatola fino a che il composto risulta compatto e inizia a sfrigolare.
Adagiarlo su un piano da lavoro, allargare con una spatola e lasciar raffreddare.
Trasferirlo in una ciotola, o in una planetaria, e incorporare le uova uno alla volta fino ad ottenere un composto liscio, lucido e denso, con una consistenza come una crema pasticcera soda.
Mettere il composto in un sac à poche con un beccuccio a stella del diametro di 1 cm e formare le zeppole su una teglia ricoperta di carta da forno, facendo una spirale di due giri.
Cuocere in forno preriscaldato a 200° per 10 minuti, poi abbassare a 180° e cuocere per altri 25/30 minuti e comunque fino a che risultino dorate.
Lasciar raffreddare nel forno socchiuso per una mezz'oretta.
Guarnire con crema pasticcera, zucchero a velo e amarene sciroppate. 



La crema pasticcera è la ricetta della mia famiglia, quella che mi è stata tramandata da nonne e zie
250 ml di latte
2 tuorli
2 cucchiai colmi di zucchero
2 cucchiai rasi di farina
1 limone
30 g di burro
Scaldare il latte e spegnere quando accenna a bollire.
Mettere a scaldare la pentola con l’acqua che servirà da bagnomaria per cuocere la crema.
Nella pentola dove invece cuoceremo la crema mettere i tuorli, lo zucchero e la farina setacciata; con una frusta amalgamarli energicamente e incorporare il latte versato a filo, continuando a mescolare. Passare nel bagnomaria a fuoco dolcissimo.
Tagliare il limone a tre quarti, infilzarlo su un forchettone e con questo girare la crema mentre cuoce.
Girare sempre nello stesso verso, senza mai fermarsi per almeno 15 minuti e comunque fino a quando non avrà raggiunto la densità desiderata. Spegnere, aggiungere il burro e incorporarlo con la frusta. Lasciar raffreddare girando di tanto in tanto. Coprire con pellicola a contatto e trasferire in frigo fino al momento dell’utilizzo.
Note personali
- La farina da utilizzare deve essere una 00, debole, con una percentuale di proteine inferiore o uguale al 9%
- Il numero di uova dipende dalla dimensione: se sono grandi vanno bene 6, se piccole 7. Io ne ho sgusciate 7 in un recipiente, le ho battute e versate un po' per volta, fino a quando ho sentito sotto le mani la giusta consistenza.
- Consiglio l'impasto a mano o, se con planetaria con il gancio a foglia. La frusta monterebbe le uova, facendo gonfiare eccessivamente la zeppola in forno, per poi appiattirsi una volta raffreddata.

lunedì 25 novembre 2019

Seta setaccio che bel pane faccio



Chi di noi, da piccolo, non si è seduto sulle gambe della nonna per ascoltare un suo racconto o una filastrocca? Magari in dialetto, con quelle connotazioni cariche di storia e significati che in poche parole trasmettono un sapere antico quanto attuale. Racconti spesso legati alla vita contadina, quella più semplice e umile, fatta di immagini quotidiane. Nella mia terra, la Campania, nei grandi cortili contadini, dove c’era sempre un vociare di nugoli di ragazzini, donne che lavavano con la cenere del forno nel lavatoio di pietra, uomini che tornavano dalle campagne con carichi di fascine, si sentivano le nenie di queste nonne che con un bimbo di un paio di anni sulle gambe, con il volto rivolto verso di esse, con le piccole manine nelle loro ruvide mani, magari ancora con il maccaturo bianco legato sulla testa perché avevano appena finito di impastare il pane nella grande matra, che ripetevano, facendo saltellare con le ginocchia il bimbo: “Seta setaccio che bellu pane facciu; lu facciu per i cafuni e se lu mangiano i signuri”o magari spostandosi un po’ più in là, “…lu facciu cu la farina, se lu magnu ‘sta signurina; lu facciu cu lu fiore e se lu mangia ‘sta signora”. Il bimbo resta affascinato dalle rime, dai verbi che si ripetono e dai saltelli decisi e continui. Ma quel bimbo solo da uomo va al di là di quelle parole.
In Campania c’era allora un pane fatto con il fiore cioè il cuore, la parte più interna del chicco, destinato ai signori, e un pane fatto con il resto, lo scarto, una farina più rustica e ruvida fatta passare attraverso un setaccio con maglie più larghe, destinato ai cafoni. Ma evidentemente questo era più buono perché lo cercavano i signori. E ancora oggi, dopo secoli di storia, di filastrocche ascoltate, di maccaturi legati, di fascine bruciate, tutti, compresi i signori, sono sempre alla ricerca del pane cafone.
Quel pane che bastava aggiungerci un po’ di sugna, cigoli e formaggio, o del pomodoro, o del finocchietto e pepe e ottenere un fragrante casatiello, una pizza nel ruoto di rame o delle croccanti freselle.

Maccaturo: fazzolettone di cotone bianco legato sulla nuca, usato come copricapo
Matra: etimologicamente utero di donna, termine usato per indicare il contenitore in legno dove veniva impastato il pane e conservato il lievito madre

lunedì 7 ottobre 2019

Crackers e grissini




Due tipologie di pane che non necessitano di tecniche particolari né di esperienza.
Impasti semplici e versatili dove facilmente si può
-  variare il tipo di farina. Nel caso di grano tenero, preferire farine deboli con un indice di forza W da 90 a 180, di conseguenza povere di proteine (sulla confezione, nella tabella nutrizionale, da 9 a 10,5 %) perché non vi è necessità di sviluppare la maglia glutinica né sostenere lunghe lievitazioni. Altri tipi di farina da sostituire, parzialmente o totalmente, con lo stesso peso: grano duro, farro, segale, sia raffinate che integrali. Poiché ogni tipo di farina assorbe percentuali di liquidi diverse, durante l’impasto si aggiungeranno secondo necessità.
- aggiungere in entrambi semi, spezie ed erbe sia per aromatizzare o semplicemente colorare: curcuma, curry, paprica, rosmarino, origano, sesamo, senza variare gli altri ingredienti .
- variare il tipo di grassi: l’olio extra vergine d’oliva è possibile sostituirlo con un olio di semi o di riso, con strutto( senza variarne la quantità) o con burro (aumentando la quantità del 20% circa) 
- variare il tipo di liquidi: l’acqua è possibile sostituirla in pari quantità con vino, birra o latte.
- variare la quantità di lievito di birra secondo le stagioni e il tempo a disposizione
La differenza fondamentalmente sta nella stesura e nella manipolazione per ottenere la giusta croccantezza per i crackers e la giusta friabilità per i grissini.

Ingredienti base per entrambi
500 g di farina 0
230 ml di acqua
60 g di olio extra vergine d’oliva
15 g di sale
5/10 g di lievito di birra


Procedimento
Setacciare la farina su un piano da lavoro, fare la fontana , aggiungere l’acqua in cui si è sciolto il lievito di birra, l’olio e su un lato, sopra la farina, il sale.
Impastare fino ad ottenere una massa morbida, che si stacchi facilmente dalle mani.
Trasferire in una ciotola, coprire e lasciar lievitare fino al raddoppio.


Per i crackers
Ribaltare l’impasto sul piano da lavoro, appiattirlo e poi stenderlo fino ad ottenere una sfoglia molto sottile.
E’ possibile anche staccare un pezzo alla volta di 100 g circa e stenderlo con la macchina per la pasta.
Formare i crackers con una rotella dentellata o con un coppapasta e bucherellare la superficie con i rebbi di una forchetta. Trasferire nella teglia rivestita di carta da forno.Fare un’emulsione con 50 g di olio e 50 ml di acqua e spennellare i crackers; spolverizzare con fiocchi di sale o sale grosso. Infornare a 200° e cuocere per 10 minuti, fino ad ottenere una doratura uniforme.
Togliere dalla teglia e lasciar raffreddare completamente. Riporre in un contenitore a chiusura ermetica.






Crackers al pomodoro e origano
500 g di farina 0
70 g di passata di pomodoro
1 cucchiaio di origano
170 ml di acqua
60 g do olio extra vergine d'oliva
15 g di sale
5/10 g di lievito di birra












Per i grissini
Ribaltare l’impasto sul piano da lavoro, appiattirlo delicatamente senza sgonfiarlo e con una spatola ricavarne dei tronchetti.
Rotolare e contemporaneamente allungare la pasta spolverando con della farina di semola, facendo attenzione a non lavorarla eccessivamente.
Trasferire nella teglia rivestita di carta da forno.
Infornare a 200° e cuocere per 10 minuti, fino ad ottenere una doratura uniforme.
Togliere dalla teglia e lasciar raffreddare completamente. Riporre in un contenitore a chiusura ermetica.




Grissini ai semi di sesamo
Stessa ricetta con aggiunta di semi di sesamo nell'impasto e sostituito 200 g di farina 0 con farina di tipo 2

lunedì 10 dicembre 2018

Pasticcio di tagliatelle


Il pasticcio, insieme al timballo, lo sformato e il sartù, di gattopardesca memoria, evoca una cucina sontuosa, tipicamente meridionale, diffusa dai cuochi della corte borbonica.
Una sontuosità nella forma, risultato di una lunga elaborazione e un’imponente presentazione.
Ma in sostanza è un piatto che contiene elementi accessibili anche a una cucina popolare che molto spesso è elevata e resa degna di un sovrano: bechamel, piselli, rigaglie, prosciutto, salsiccia e caciocavallo accompagnano paste corte e lunghe racchiudendo tutto in un involucro: pasta frolla dolce aromatizzata alla cannella, melenzane fritte, prosciutto crudo o semplicemente pane grattugiato.
Già Apicio, cuoco o scuola di cucina dell’antica Roma, descriveva un pasticcio fatto con poppe di scrofa, pezzi di pollo, tordi cotti e uniti a uova battute con olio, vino secco e passito e amido. Un mestolo di questa salsa alternati a strati di pasta.
Poi l’ artusiano pasticcio con una salsa balsamella arricchita di tartufi a fettine sottili e funghi secchi fatti rinvenire in acqua calda, con una presa di noce moscata a cui aggiungere animelle di pollo e strisciolino di prosciutto, che condivano una pasta tipica napoletana, possibilmente lunga, con pareti grosse e foro stretto.
Ma anche Leopardi ci parla di un pasticcio con piselli e basilico, in un ritaglio di carta custodito presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, dove vi è una lista di 49 piatti consumati dal poeta, suddivisi per stagione, con prodotti tipici del periodo, e preparati da Pasquale Ignarra, il monsù delle cucine delle dimore napoletane dove egli soggiornò  dal 1833 fino alla fine della sua vita.
Ma veniamo a questo pasticcio di tagliatelle.
Una personale elaborazione della nonna di un esperto e profondo conoscitore della cucina, cultura e lingua napoletana, Raffaele Bracale, che ha ereditato a sua volta dalla mamma, divenendo negli anni la ricetta di famiglia delle feste. Quando l’ho scoperta l’ho rifatta fedelmente scoprendo un’armonia di sapori che connotano fortemente la mia terra. Elementi molto poveri che rendono questo piatto sfarzoso e opulento.

Poi come succede molto spesso, negli anni ho apportato delle mie personali modifiche (sostituendo, dalla ricetta originale, il pecorino con il parmigiano e aggiungendo la scamorza) che non hanno stravolto gli equilibri del piatto, ma lo hanno reso più vicino ai miei gusti personali 



Dosi per 6 persone
Preparazione 40 minuti
Cottura 1 ora
Riposo 30 minuti

Ingredienti
500 g di tagliatelle all’uovo
250 g di ricotta salata fresca
200 g di salame
150 g di scamorza
400 g di piselli
1 cipolla
4 uova
150 g di parmigiano
300 g di pane raffermo
100 g di burro
Sale


Procedimento 
Tagliare il pane a fette sottili e lasciar tostare in forno a 200° per una quindicina di minuti; estrarre dal forno, far raffreddare, ridurre a piccoli pezzi e passarlo al mixer fino ad ottenere briciole. Miscelarle con 50 g di parmigiano grattugiato.
In un tegame rosolare dolcemente la cipolla tritata finemente con 50 g di burro, aggiungere i piselli precedentemente lessati in acqua e lasciar cuocere per 15  minuti.
Lessare le tagliatelle in abbondante acqua; salare con moderazione.
Nel frattempo stemperare la ricotta salata con un mestolo di acqua di cottura della pasta, aggiungere 2 uova battute e il parmigiano e amalgamare fino ad ottenere la consistenza di una crema.
Ridurre il salame in piccoli dadini.
Rassodare le altre 2 uova, sgusciarle sotto un getto di acqua fredda e tagliarle in quattro spicchi.
Scolare le tagliatelle, amalgamarle con la crema di ricotta, aggiungere il salame, i piselli e la scamorza grattugiata.


Imburrare uno stampo alto per ciambella da 24  cm di diametro, cospargere con il pangrattato al formaggio, versare metà delle tagliatelle, distribuire gli spicchi di uova sode e completare con le restanti tagliatelle.
Spolverare la superficie con altro pangrattato e  distribuire qualche ciuffetto di burro.
Infornare a  200° e cuocere per 1 ora. Se occorre coprire con un foglio di alluminio.
A cottura terminata lasciar riposare in forno per 30 minuti, poi trasferire su un piatto da portata servire direttamente in tavola.
Volendo si può accompagnare con una salsa leggera di pomodoro.


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