Chi di noi,
da piccolo, non si è seduto sulle gambe della nonna per ascoltare un suo
racconto o una filastrocca? Magari in dialetto, con quelle connotazioni cariche
di storia e significati che in poche parole trasmettono un sapere antico quanto
attuale. Racconti spesso legati alla vita contadina, quella più semplice e
umile, fatta di immagini quotidiane. Nella mia terra, la Campania, nei grandi
cortili contadini, dove c’era sempre un vociare di nugoli di ragazzini, donne
che lavavano con la cenere del forno nel lavatoio di pietra, uomini che
tornavano dalle campagne con carichi di fascine, si sentivano le nenie di
queste nonne che con un bimbo di un paio di anni sulle gambe, con il volto rivolto
verso di esse, con le piccole manine nelle loro ruvide mani, magari ancora con
il maccaturo bianco legato sulla testa perché avevano appena finito di
impastare il pane nella grande matra, che ripetevano, facendo saltellare con le
ginocchia il bimbo: “Seta setaccio che bellu pane facciu; lu facciu per i
cafuni e se lu mangiano i signuri”o magari spostandosi un po’ più in là, “…lu
facciu cu la farina, se lu magnu ‘sta signurina; lu facciu cu lu fiore e se lu
mangia ‘sta signora”. Il bimbo resta affascinato dalle rime, dai verbi che si
ripetono e dai saltelli decisi e continui. Ma quel bimbo solo da uomo va al di
là di quelle parole.
In Campania
c’era allora un pane fatto con il fiore cioè il cuore, la parte più interna del
chicco, destinato ai signori, e un pane fatto con il resto, lo scarto, una
farina più rustica e ruvida fatta passare attraverso un setaccio con maglie più
larghe, destinato ai cafoni. Ma evidentemente questo era più buono perché lo
cercavano i signori. E ancora oggi, dopo secoli di storia, di filastrocche
ascoltate, di maccaturi legati, di fascine bruciate, tutti, compresi i signori,
sono sempre alla ricerca del pane cafone.
Quel pane
che bastava aggiungerci un po’ di sugna, cigoli e formaggio, o del pomodoro, o
del finocchietto e pepe e ottenere un fragrante casatiello, una pizza nel ruoto
di rame o delle croccanti freselle.
Maccaturo:
fazzolettone di cotone bianco legato sulla nuca, usato come copricapo
Matra:
etimologicamente utero di donna, termine usato per indicare il contenitore in
legno dove veniva impastato il pane e conservato il lievito madre