lunedì 28 gennaio 2013

Pici al ragù di Coniglio all'Ischitana con Pomodorini del Piennolo



Con l’MTC è come fare un viaggio: luoghi di cui avevi sentito parlare ora li vedi e li esplori da vicino, notando particolari sconosciuti e che mai ti avevano interessato prima; luoghi dove incontri gente con le loro abitudini e i loro modi di fare che mai avevi capito prima; luoghi da dove torni con una valigia che all’andata conteneva solo l’essenziale (seppure sia difficile scegliere quale sia l’essenziale) e al ritorno è carica di esperienze che ti rimarranno poi impresse nella mente più di una fotografia che appendi al muro e che sta lì per vent’anni.
Questo viaggio in lungo e in largo per l’Italia è un incontro di sapori  che si fondono e si armonizzano dandogli una nota ancora più marcata di tradizione e di tipicità.
Questo viaggio mi affascina e mi intriga sempre di più, facendomi compilare il mio diario di bordo in una maniera sempre più consapevole.
Ci sono dei luoghi che ci vai e ci ritorni sempre più volentieri, perché li ci lasci un pezzetto del tuo cuore. Uno di questi luoghi, per me, è la Toscana e chi mi conosce bene già lo sa.  Insieme all’Umbria, è il luogo dei miei week-end e la meta delle mie vacanze; se ci passo perché devo raggiungere città che si trovano più a nord, al ritorno mi ci devo fermare, come un destino a cui non mi posso sottrarre, per respirare un po’ di quella sua aria, per guardare i campi di girasole e le dolci colline, per assaporare qualcosa che solo lì riesco a trovare.
Ma se il mio cuore è lì, le mie radici sono qui, in Campania. Radici profondamente conficcate nel terreno, radici arcaiche che ben definiscono la mia identità attraverso i piatti che preparo e gli ingredienti che uso.
Ricordo che tanti anni fa mangiai dei Pici al ragù di lepre, che tanto mi ricordarono il mio coniglio all’ischitana e che mi ripromisi di fare con questa pasta tanto inusuale per me. Il coniglio sì che l’ho fatto e rifatto, visto che a casa mia è un piatto abituale, ma con i Pici mai più. Mi ci voleva proprio l’MTC per far scattare in me finalmente quella molla e farmi realizzare un’idea ormai messa nel cassetto.
Il Coniglio all’Ischitana, presidio Slow Food, più che una ricetta è un emblema e un simbolo della cultura di quell’isola che lo identifica.
Innanzi tutto si parte dal metodo di allevamento che è davvero singolare; avviene in fosse profonde fino a quattro metri le quali sono collegate tra di loro da cunicoli scavati dagli stessi conigli. In questo modo, avendo la possibilità di muoversi, a differenza degli allevamenti in gabbia, la carne risulta molto più saporita.
Poi un'altra caratteristica è il metodo di cottura, passaggio essenziale per assaporare al meglio questo piatto. Il coniglio viene prima rosolato a pezzi nella sartana, padella in rame, per sigillare i suoi preziosi succhi e poi viene trasferito nel tiano, la pentola di terracotta, per conservare la sua umidità e ottenere una cottura uniforme.
Un ‘altro elemento caratteristico di questa mia preparazione è il Pomodorino del Piennolo. Tipica coltivazione dell’area vesuviana , con riconoscimento DOP, è uno dei prodotti più antichi della mia regione, sia come coltivazione che come metodica di conservazione. E’ un pomodoro dalla  forma ovale con apice appuntito, una buccia spessa e una polpa consistente.
Sono proprio questi elementi che permettono la conservazione al naturale fino alla primavera successiva; infatti quando sono maturi, dopo la raccolta, vengono legati a grappoli e conservati sospesi in luoghi areati.


Ovviamente per i Pici ho seguito la ricetta di Patty, però con dosi maggiori, pur mantenendo la stessa proporzione, perché il coniglio all’ischitana è la ricetta delle feste, delle riunioni di famiglia; è un coniglio da cuocere intero, il cui peso deve essere intorno a 1.5 kg, per cui occorrono rinforzi per consumarlo tutto. E ovviamente la mia riunione di famiglia è stata con il mio amico blogger Pasquale, nonché lontano cugino, chiamato anche stavolta per le foto. Lui sembra essere nella mia mente; non c’è bisogno che gli dica le cose da fare, coglie i passaggi fondamentali che anche io avrei fotografato tal quale.
Daltronte se mi trovo con le mani in pasta come posso destreggiarmi con una fotocamera?(Eh che bella scusa per averlo vicino!!!)
Ieri, quando ci gustavamo i nostri Pici, riflettevo sul potere che l’MTC ha esercitato su di noi:oltre quello di farci incontrare per la ricetta, ci fa riunire con le nostre famiglie facendoci sedere tutti insieme intorno alla stessa tavola.


Per i Pici
300 g di farina 00
150 g di farina di semola rimacinata
3 cucchiai di olio extra vergine
1 pizzichino di sale
1 bicchiere colmo di acqua oligomnerale



Preparazione
Miscelare le farine e setacciarle due volte. Fare la fontana, versare l’olio, il sale e l’acqua, incorporandola inizialmente con una forchetta. Impastare con il palmo delle mani vicino ai polsi, piegando la pasta su se stessa varie volte, senza mai stirarla violentemente per non sfibrarla. Quando si è ottenuta una pasta liscia, vellutata e morbida, lasciar riposare per mezz’ora, coprendo l’impasto per evitare che asciughi in superficie.


Trascorso questo tempo, tagliare un pezzetto, fare una pallina, stenderla con un mattarello a uno spessore di 1 cm e tagliarla con un coltello affilato in strisce di circa 1 cm.
A questo punto bisogna filare i pici; rotolare la pasta con il palmo delle mani e contemporaneamente stirarla verso l’esterno, senza comprimerla, delicatamente fino a uno spessore simile a quello di un bucatino.
Procedere così fino a esaurimento dell’impasto.


Per il ragù
1 coniglio intero
350 g di pomodorini
2 spicchi di aglio
½ peperoncino
100 ml di olio extravergine
1 bicchiere di vino bianco
Timo e maggiorana
Sale
Per finire: pecorino stagionato grattugiato


Preparazione
Tagliare il coniglio in pezzi,  rosolarlo per una decina di  in una padella di rame con olio, aglio e peperoncino;


trasferirlo in un tegame di terracotta, sfumarlo con il vino bianco, aggiungere i pomodorini tagliati in quattro


infine aggiungere un pizzico di timo e maggiorana e salare. Coprire il tegame e lasciar cuocere per un’oretta.
Cuocere i Pici in abbondante acqua salata, per 5 minuti, scolari trasferirli in un tegame largo, condirli con il sugo del coniglio, aggiungere  dei pezzi di coniglio precedentemente privati dalle ossa, del pecorino grattugiato e mantecare per 1 minuto. Impiattare e buona “piciata”.



sabato 19 gennaio 2013

Arista di maiale all'ananas



Era da tempo che avevo intenzione di preparare un’arista di maiale all’ananas. Già sperimentato l’abbinamento sia con la mela annurca che con le prugne, stavolta cercavo un modo diverso di presentarla.
No i soliti tocchetti o la solita salsina ma un “nonsoché” che ho poi cercato nel web. E quale gradita sorpresa quando approdo al blog di Daniela Donatella:era esattamente ciò che cercavo!
 Non ho seguito la ricetta passo passo, ma mi sono lasciata ispirare. 


Ingredienti
1 arista da 700/750g
1 ananas  fresco
2 carote
1 scalogno
Alloro
Salvia
Sale
Olio evo Dante
1 tazzina di brandy

Preparazione
Tagliare l'arista lasciando integra la base e inerire le fette di ananas. Legare con lo spago da cucina trasversalmente alle fette e infine bloccare tutto con la rete elastica.
In un tegame soffriggere lo scalogno nell'olio, aggiungere le carote a pezzetti e il pezzo di carne.
Rosolare bene,aggiungere il brandy, lasciar  sfumare e aggiungere altre due fette di ananas tagliato a dadini.
Salare, insaporire con qualche foglia di salvia e di alloro e lasciar cuocere coperto per 15 minuti.
Estrarre l'arista dal tegame, passarla in una teglia da forno, irrorare la superficie solo con il sughetto che si è formato e cuocere in forno ben caldo per altri 30 minuti, bagnando all'occorrenza.
Nel frattempo, se le carote sono ben cotte, frullare ciò che è rimasto nel tegame e tenere in caldo.
Quando l'arista è pronta servirla accompagnandola con la salsina di carote e ananas. 

lunedì 14 gennaio 2013

Crostatine al cioccolato e crema di nocciole


Quest’anno alla mensa dell’asilo una grande novità;tre volte a settimana, al posto della frutta il dolce, guardo il menù e noto che danno a giorni alterni la crostata alla frutta, frutta di stagione,torta di mele.
Io, maniaca dell’autoproduzione e del fai da te, subito ho pensato a dolci freschi e fragranti sfornati dalle cucine della scuola., trasalendo di gioia e soddisfazione e felice di far parte di un comune all’avanguardia…….però troppo bello per essere vero.  
Poi, quando il mio pupo di cinque anni  torna a casa e tira fuori dallo zainetto una crostatina alla marmellata, di una marca molto commerciale, che una confezione da otto pezzi te la fa pagare solo un euro e cinquanta, e mi dice:” tieni mamma, che io non la mangio questa”, li mi rendo conto che sono sempre la solita ingenua e che il mio metro di misura sono sempre i miei sogni e le mie speranze.
Poi ribatte: gliel’ho detto alla maestra che le crostatine me le fai tu!
Poi, ancora, con occhi languidi a cui nessuna mamma potrebbe resistere: mamma mi fai le crostatine al cioccolato?
Eccolo il golosone, che tattica! Approfitta della mia titubanza riguardo la qualità di quella crostatina e ci prova a chiedermi l’ennesimo dolce al cioccolato.
Lui,piccolo promotore e fautore del Budino al cioccolato, lui che si sveglia con pane e cioccolata e si addormenta con una barretta di cioccolato al latte, lui che festeggerebbe tutti i compleanni di famiglia solo con torte al cioccolato, lui che ama tanto la Befana perché porta quelle calze piene di cioccolata, con questa richiesta si è mantenuto fedele al suo credo, soggiocandomi per l’ennesima volta.
Ed eccomi ad accontentarlo!
Crostatine appena sfornate, sente l’odore e corre a vedere, esclamando:le mie crostatine! Ed io gli raccomando di aspettare perché scottano e lui, con la sua piccola grande consapevolezza, sa attendere.
E qui arriva un’ennesima scena teneramente comica. Poiché in casa erano da poco terminate le pulizie, arrivo io con la sua ambita e desiderata crostatina, ormai raffreddata, e con una tovaglietta che gli appoggio sulle gambe mi raccomandando con lui di mangiare seduto in modo da poter raccogliere tutte le briciole.
Che tesoro, come si gode beatamente quel suo dolcino sul divano!
Mi chiama, arrivo, si alza e agita in alto la tovaglietta dicendomi: “guarda ho finito e le briciole sono tutte qui”, mentre le briciole, come polvere di stelle, scendevano sul divano, sul tappeto e sul pavimento!


Ingredienti per 10 crostatine

Pasta frolla
250 g di farina 00
150 g di burro
150 g zi zuccheo
1 uovo
1 cucchiaino di Miele di Limone Rigoni
5 nocciole
Crema
200 g di cioccolato fondente al 70%
200 g di panna fresca
2 cucchiai di Nocciolata Rigoni

Preparazione
Si può procedere alla preparazione della pasta frolla nel modo classico, a mano, ma io ho usato il robot da cucina.
Mettere nel boccale grande il burro e azionare per ammorbidirlo, rendendolo cremoso; aggiungere lo zucchero, il miele e le nocciole sminuzzate e lavorare per 3 minuti, finché le nocciole non risultino ben tritate e amalgamate all’impasto.
A questo punto aggiungere l’uovo e montare per altri 2 minuti.
Versare la farina e lavorare finché non si forma una palla. Prelevarla, eventualmente raccogliere anche l’impasto rimasto sul fondo, avvolgere in una pellicola e lasciar riposare in frigo per 20 minuti.
Nel frattempo preparare la crema. Mettere in un pentolino la panna, aggiungere il cioccolato spezzettato e far sciogliere a fuoco dolcissimo. Spegnere, aggiungere la Nocciolata e girare finché non risulti una crema omogenea e ben amalgamata.
Prendere la pasta frolla dal frigo e stenderla tra due fogli di carta da forno, predentemente infarinata da entrambi i lati.
Con gli stampini capovolti ritagliare la pasta frolla e rivestirli; riempirli con una cucchiaiata di crema e rifinire con le striscioline di pasta formando la classica griglia da crostata.
Cuocere in forno preriscaldato a 170 gradi per 15 minuti, finché non assumono un bel colore biscottato. 


mercoledì 9 gennaio 2013

Canederli allo speck con panna e radicchio



Il pane non si butta! Mai!
Già l’ho detto nel post precedente, parlando del lievito madre, il pane l’abbiamo sempre fatto in casa e la fatica che c’è dietro è tanta: svegliarsi la notte, impastarlo per mezz’ora  a mano, stare attente a coprirlo e ripararlo dal freddo in inverno e controllarlo in estate quando il caldo può farlo inacidire, preparare il forno a legna………insomma si deve investire ben 24 ore della propria vita per ottenere l’alimento più buono in assoluto. Poi quando diventa troppo raffermo ecco che arrivano tante buone ricette per continuare a gustarlo. Oltre L’acqua cecata con cui ho partecipato alla raccolta Buono come il pane, e alle Polpette di pane che ho presentato nella trasmissione Oggi cucino io, mi sono ora cimentata per la prima volta nei Canederli, che ci hanno letteralmente conquistati; li dedico alla mia nuova amica Yrma del blog a Fiamma dolce, che è stata un po’ la mia musa ispiratrice, visto che vive in Trentino e che sicuramente lei li chiama Knodel!


Ingredienti
500 g di pane casareccio raffermo
2 bicchieri di latte
200 g di speck
4 uova
Erba cipollina e prezzemolo
Scalogno e cipolla
Panna fresca
Radicchio
Sale e pepe
Farina e pangrattato
Olio e burro

Preparazione
Tagliare a dadini il pane e coprirlo con il latte tiepido.
In una padella rosolare l’olio con lo scalogno tritato finemente, aggiungere lo speck tagliato a dadini e rosolare a fiamma dolce  brevemente.
Unirlo all’impasto del pane, aggiungere le uova, l’erba cipollina e il prezzemolo tritati finemente, aggiustare di sale e pepe e amalgamare con le mani per  schiacciare il pane facendo attenzione a non ridurlo in poltiglia altrimenti risulta gommoso. Se è molto morbido regolare con un po’ di farina e pangrattato.
A questo punto formare delle palline rotolandole tra la mani e adagiarle su un piatto spolverato di farina e pangrattato. Calarle in acqua in ebollizione e far cuocere per una decina di minuti.
Nel frattempo, in un tegame a parte rosolare nel burro la cipolla tritata finemente, aggiungere il radicchio tagliato a strisce sottili e infine la panna; regolare di sale. Scolare i canederli con una schiumarola, passarli nel tegame con la salsa al radicchio e mantecare brevemente. Servire spolverando con altro pepe.

 

mercoledì 2 gennaio 2013

Lievito Madre




Forse non c'era bisogno di un nuovo post sul lievito madre in quanto la rete è esaustiva a questo riguardo, con blog specifici ed esperti specializzati che offrono indicazioni chiare e dettagliate, mostrando competenze all'altezza di un professionista del settore.
Ma visto che il blog è un diario in cui raccontare se stessi ed è una finestra aperta sul mondo attraverso la quale si offre la possibilità di guardare nella propria casa, non potevo esimermi dal raccontare questa avventura per me tanto cara, avvincente e coinvolgente.
Devo fare innanzitutto una premessa: provengo da una famiglia in cui mamma, nonne, bisnonne e zie e prozie hanno sempre panificato in casa con il criscito (così chiamato da noi il lievito madre), con i loro cari e amati forni a legna. L’origine del lievito madre delle donne della mia famiglia si perde nella notte dei tempi, passandoselo tra di loro quando non riuscivano a rinfrescare il proprio in tempo opportuno. Che motivo c'era che io  iniziassi da zero il mio lievito madre, visto che me lo poteva passare la mia mamma?
E' stata una sfida, la stessa sfida che mi fa tenere in vita questo blog, nonostante il pochissimo tempo a disposizione; una sfida che, seppure ci sia sacrificio, mi da una grande soddisfazione, quando guardo il viso  appagato di chi addenta un pezzo di pane o di pizza o di focaccia, che ho preparato io, con il mio lievito madre.
Questa storia inizia più di dieci anni fa; provavo e riprovavo a cominciare ma visto i risultati fallimentari e la pazienza che veniva meno, rinunciavo. Poi un anno fa l’ennesimo tentativo, stavolta andato a buon fine. Questo è coinciso più o meno con l'apertura del mio blog: evidentemente una svolta nella mia vita, una maturità, un modo di pormi in maniera più determinata e sicura, una voglia di dare “nutrimento” mi ha permesso di percorrere queste strade che inesorabilmente convergono.
Si legge in giro che iniziare il lievito madre è semplice. No miei cari, questo è l'errore più grande!
E' semplice nella sostanza, in quanto sono sufficienti solo acqua e farina, ma poi per ottenere un lievito madre maturo e pronto per la panificazione sono necessari tempo e pazienza a volontà, e questo non è semplice, se non si ha una motivazione di base ben salda e una passione che ti nasce da dentro e che ti fa andare avanti nonostante le difficoltà.
Ma veniamo alla preparazione. Molti usano degli starter, che sono buccia di mela, yogurt, miele; altri aggiungono olio o sale.
Niente di tutto ciò.
Sono necessari solo acqua e farina, insieme a una temperatura ambiente tipica di una comune cucina e a microrganismi presenti naturalmente nell’aria, acqua e farina. Per quanto riguarda l’acqua io ho la fortuna di usare quella di fonte, altrimenti va bene una comune acqua oligominerale in bottiglia. Quella del rubinetto, almeno agli inizi la sconsiglio, per la presenza del cloro, che essendo un disinfettante andrebbe a compromettere lo sviluppo dei lieviti. Riscaldare leggermente l’acqua, senza mai farla bollire. La farina, sempre agli inizi, è preferibile usare una di tipo 0, una comune manitoba, che si trova in qualsiasi supermercato.




Ma veniamo alla “ricetta”
200 g di farina 0
100 g di acqua tiepida
Impastare, formare un panetto e riporlo in un vaso di vetro. Ricoprirlo con un tovagliolo pulito, dopo averlo bagnato con acqua tiepida e strizzato.
Lasciar riposare a temperatura ambiente, riparato, magari su un ripiano in un angolo della cucina. Da questo momento in poi, inizia il processo fermentativo, che fa aumentare leggermente la massa presentando delle bolle in superficie: questo può durare dalle 48 alle 72 ore.
Trascorso questo tempo si procede al rinfresco, pesando la pasta acida ottenuta in precedenza e aggiungendo stesso peso di farina e metà peso di acqua, o più nei dettagli si può procedere così:

Rinfresco
200 g di pasta acida
200 g da farina 0
100 g di acqua tiepida
Impastare e riporre di nuovo in un vaso di vetro ricoperto con un tovagliolo inumidito.
Da questa fase in poi bisogna procedere a rinfreschi ogni 48 ore, buttando la pasta che ci avanza dopo aver pesato e trattenuto quella che ci occorre.

La massa ha una moltitudine di batteri, alcuni idonei alla panificazione, molti altri sono batteri cattivi.
Con il rinfresco  si dà nutrimento, attraverso gli zuccheri della farina, a quelli buoni, selezionandoli fino a quando questi prendono il sopravvento e bloccano la proliferazione degli altri.
Questa fase può durare dai quindici ai trenta giorni e il fattore che ci indica quando la nostra massa è diventata lievito madre ed è pronta per la panificazione, è quando ha la capacità di raddoppiare di volume nell’arco di quattro ore.


Il mio lievito madre , con temperature idonee (sui 18/20°),oggi, ha la capacità di triplicare in tre ore.

Un lievito madre pronto deve avere queste altre caratteristiche: un odore tra l’aceto e lo yogurt, ben equilibrato, senza il sopravvento di uno dei due; una consistenza spugnosa, ricca di alveoli, uniformemente distribuiti; un colore bianco, tendente al giallo paglierino.

Passata questa fase si può dilazionare il tempo con rinfreschi ripetuti a distanza di  4/5 giorni e poi una volta a settimana.
Quando vediamo che il volume è raddoppiato, o meglio ancora triplicato, senza rimuovere il tovagliolo, copriamo con pellicola per alimenti e riponiamo in frigo, fino al successivo rinfresco.


Può capitare che, per svariati motivi,  non poter rinfrescare il nostro lievito madre. Qui arriva la preziosa esperienza della mia mamma.
In rete si consiglia il bagnetto, pratica che io non ho minimamente attuato ne studiata, ma procedo così: tolgo il lievito madre dal frigo, lo rinfresco per tre giorni consecutivi, lasciandolo a temperatura ambiente e poi o procedo alla preparazione che ho in mente o lo ripongo in frigo come di consueto.
Una volta che abbiamo un lievito maturo non si deve più buttare la pasta che avanza dal rinfresco.
Si può rinfrescare l’intera massa, si stacca un pezzo da conservare come lievito madre e la parte rimanente si può far lievitare e cuocere come una focaccia,  dei crakers o grissini: insomma una volta presa dimestichezza con questa moltitudine di esseri viventi, sarà il nostro istinto innato e la nostra fantasia a suggerirci cosa fare.

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