lunedì 21 dicembre 2015

Vellutata di porri di Corrado Tumminelli e il primo raduno della communitydell'Mtchallenge



Da quattro chiacchiere tra appassionati di cibo, nate per caso, perché ci si ritrova lì non per caso, di cosa si può parlare?
Di cibo naturalmente
Della qualità dell'olio, di farine comprate nelle botteghe di fiducia, del fare il pane a casa, del piacere delle cose semplici.
E poi salta fuori una vellutata; all'annuncio degli ingredienti era facile da farsi, povera negli elementi, insomma una roba a portata di tutti. Ma raccontata da Corrado, no. E' tutta un'altra vellutata!
Mi è sembrata una lezione di cucina, con la spiegazione minuziosa di tutti i vari passaggi e i segreti per una buona riuscita.
Corrado mi ha visto interessata, anzi sicuramente si è accorto che io le vellutate le faccio poco, per cui una volta a casa mi ha fatto dono della ricetta via mail.
Subito mi sono messa all'opera e devo dire che ne è venuto fuori un piatto davvero delizioso, con un profumo che mi è entrato persino negli armadi.
Poi come al solito il mio tocco personale che stavolta non è stata una variazione degli ingredienti, ma sono andata ad agire sulla consistenza; Corrado consiglia di aggiungere brodo per ottenere un liquido appena denso mentre io per incontrare i gusti dei miei commensali l’ho fatta molto densa, una zuppa insomma, ma questo non ha di certo pregiudicato il gusto.

Eccovi la ricetta di Corrado, con il suo dettagliatissimo procedimento.


Ingredienti per 3-4 persone
3 bei porri
2 patate medie
30 g di burro
2 dita di vino bianco
2 litri di brodo di verdura

Esecuzione
Preparare un buon brodo di verdura, nel modo classico. Sbucciare le patate, tagliarle a pezzi e metterle a cuocere nel brodo di verdura. Fare a fette sottilissime i porri, la sola parte bianca che e' piu' dolce. La mandolina va benissimo. In una casseruola mettere il burro e le fettine di porri. Far soffriggere a fuoco medio-basso facendo attenzione che non si abbronzi (basta voltare l'occhio...). Quando i porri sono ben cotti, ma ancora di colore chiaro, versare il vino bianco e fare evaporare. A vino evaporato versare un bicchiere scarso di brodo di verdura e far ritirare quasi tutto. Questo passaggio serve a finire di cuocere i porri, idratandoli e ammorbidendoli. Quando sia i pezzi di patate che i porri sono cotti metterli nel bicchiere del minipimer e frullare a oltranza, aggiungendo il brodo di verdura in modo che il risultato sia un liquido appena denso. Al solito: deve velare appena appena il cucchiaio. Regolare di sale e dare un'ultima frullata per farlo ben sciogliere. Consumare appena fatto, o poco dopo. Il contenuto di amido delle patate causa una veloce densificazione della vellutata, che invece dev'essere appena cremosa. Una vera zuppa serale, calda e confortante.


Ma il mio post non finisce, come altre volte, con la ricetta.
Questa è stata solo un assaggio per far pregustare al mio lettore una realtà bella quanto una ricetta elaborata ed eseguita con dedizione e amore.
Vi dicevo all’inizio che ci si è ritrovati li non per caso.
Ci si è ritrovati tra appassionati di cucina.
Ci si è ritrovati al primo raduno dell’ MTC!
E ora mi mancano le parole!!!
Anzi in me c’è un fiume in piena, che vorrebbe uscire dagli argini, senza freni e senza limiti per poter trasmettere un piccolo pezzo di quello che abbiamo vissuto in tre giorni, scanditi da incontri, buon cibo, progetti, condivisioni.
Le macchine fotografiche le abbiamo accantonate, tanto che eravamo presi dal gustarci l’essere lì, per noi è stato molto più importante goderci quegli attimi che immortalarli, per cui queste immagini sono solo piccoli scorci, piccoli attimi, piccole incursioni


foto di Lidia Mattiazzi
La strada verso Poggio al Sodo, Sinalunga


foto di Rosaria Orrù
Villa Poggio al Sodo





Uno dei quattro tavoli del buffet

La più attesa

La treccia di mozzarella di bufala campana dop

Ecco il nostro badge

Il magnete uovo nato dalla mente geniale di Mai Esteve
L'uovo è il simbolo dell'Mtc adottato in occasione del giubileo per la 50 sfida

domenica 22 novembre 2015

Fagotti con baccalà, scarola, mozzarella e caciocavallo su genovese di baccalà


Arrivata a pochi giorni dalla conclusione dell’Mtc di questo mese, n 52,  ancora non avevo pensato alla mia ricetta, dove il tema da affrontare, proposto dalla brava Monica supportata dal marito Luca che cura le meravigliose foto, del blog Fotocibiamo, è un primo piatto asciutto delle feste, con due elementi obbligatori: la pasta ripiena e il sugo a cottura lenta.
Noi, qui in Campania non abbiamo delle paste ripiene, o meglio le nostre paste ripiene sono solo lasagne e cannelloni, ma la sfida ci propone un raviolo, una pasta ripiena e sigillata. E allora è partito un’arrovellamento per il mio cervello: e mo’ cosa ci ficco in un raviolo? Una parmigiana, un gattò, salsicce e friarielli?
Poi mi capita di vedere la ricetta di Patty, vincitrice della scorsa sfida che ha passato il testimone a Monica e Luca; oltre ad ammirare la sua meravigliosa interpretazione, eseguita come sempre con maestria e passione cio’ che mi colpisce e mi fa scattare la molla e dare infine pace al mio cervello è la sua scelta di un piatto, cavallo di battaglia di un ristorante della sua meravigliosa Toscana.
E allora io prontamente ho pensato al ristorante Umberto di Napoli che propone una meravigliosa genovese di baccalà che tante volte ho pensato di reinterpretare.
Di questo ristorante ne ha fatto una bella recensione Marina Alaimo, affermata giornalista enogastronomica, su Luciano Pignataro Wine Blog che vi riporto integralmente.

“Il ristorante Umberto a Napoli rappresenta una testimonianza storica della culinaria classica partenopea essendo aperto dal 1916, qui si cucina da almeno tre generazioni e tra ricette saporose e le piacevolissime chiacchiere scambiate con i padroni di casa, dotati di naturale garbo tipicamente partenopeo, si mantiene ben saldo il ricordo del magnifico passato di una capitale
Si perché non solo le opere artistiche o architettoniche di una città sono testimoni della sua storia, ma anche la gastronomia rappresenta una memoria non trascurabile degli usi e costumi e quella partenopea ci racconta di un passato ricco e intriso di diverse influenze culturali. Lorella, Roberta e Massimo Di Porzio vivono con grande passione ed estrema spontaneità il compito di continuare a tramandare la cultura gastronomica napoletana, senza imporsi regole restrittive, ma dando ampio spazio alla creatività ed alla continua ricerca di prodotti tipici spesso dimenticati perché non di tendenza
Pur trovandoci nel salotto buono di Napoli, siamo a due passi da Piazza dei Martiri, il menù si articola tra piatti sontuosi e piatti della tradizione povera, si continuano a proporre le pietanze che preparava la nonna Ermelinda, fondatrice insieme al marito Umberto Di Porzio di quella che in origine era una piccola trattoria, locata proprio nell’angolo tra via Alabardieri e Piazza dei Martiri, improntata su piatti popolari realizzati con i prodotti dell’orto di famiglia posto sulla collina di Posillipo, carne di maiale e baccalà, poco pesce, anzi direi quasi assente in quanto il popolo non poteva permetterselo, il vino era quello della casa fatto in proprio, si possono trovare quindi ancora in carta il porco in agrodolce, antica ricetta del settecento oggi realizzata con maiale nero casertano, le linguine alla natalina, il piatto dei poveri previsto per la vigilia di Natale dove la pasta viene condita con un sugo di pomodorini del piennolo, uva passa, pinoli e noci, poi ancora i tubbettoni Treddeta, soprannome del nonno Umberto dovuto alla mancanza di due dita ad una mano perse in un tragico incidente, i tubbettoni sono storicamente graditissimi ai napoletani ed in questo caso vengono conditi con pomodorini, polipetti, olive nere di Gaeta e capperi, tra i dolci ho ritrovato con estremo piacere il biancomangiare, dessert al cucchiaio antichissimo composto da una profumatissima crema di mandorle, ma anche la famosa percocata, torta di ricotta e pesche vesuviane, grande spazio viene poi dedicato alle pizze, altro capitolo di notevole importanza nella storia gastronomica partenopea.
Vengono ancora preparate pizze di tradizione antica come la “scarpariello”, fatta con pomodoro, aglio, formaggio pecorino grattugiato ed olio, la “mastunicola” di casa a Napoli ancor prima che fosse introdotto l’uso del pomodoro, condita semplicemente con lardo, pecorino e pepe, poi c’è la tipica margherita e la pizza fritta ripiena di ricotta, cicoli e pepe, i pizzaioli attuali sono Gaetano Di Lorenzo ed Enzo Mariniello, allievi dello storico maestro Leopoldo Arienzo che insieme allo chef Gennaro Pace, affiancato ai fornelli da Antonella Tango e Francesco Errico, sono considerati in maniera molto affettuosa componenti importanti della famiglia.
Ma il ristorante Umberto non è solo tradizione, i proprietari amano arricchire e variare di continuo il menù seguendo con rigore la stagionalità dei prodotti, grande attenzione è data anche alle novità, senza mai rinnegare le proprie origini e senza farsi condizionare dalle tendenze del momento, questa linea di pensiero è senza dubbio sintomo di grande personalità e cultura, anche gli arredi, con mio immenso piacere, sono quelli scelti negli anni 60, quindi il locale senza volerlo si pregia di un look vintage, oggi di gran moda, arricchito dall’esposizione di interessantissime mostre di quadri ed opere di artisti, spesso napoletani, ma non solo,realizzate in collaborazione con l’associazione culturale Eughea. La carta dei vini è ampia e curata con etichette quasi esclusivamente italiane, i proprietari sono sommelier e grandi appassionati di vino".


Assodato ormai che la mia pasta ripiena era da fare allo stesso modo dei "Raieu cu-u tuccu", la ricetta di Luca e Monica, e cioè ravioli ripieni con la carne cotta lentamente nel sugo, non mi restava altro che fare la mia genovese di baccalà.
Ho usato lo stesso procedimento della classicissima e napoletanissima genovese di carne, facendo una lunga e lenta cottura fino ad ottenere delle cipolle caramellate e cremose, sfumando all'inizio con vino e aggiungendo poi una piccola tazzina alla volta di liquidi ( nel mio caso fumetto di baccalà) solo quando vedevo la necessità. L'unica differenza ho aggiunto il baccalà quando le cipolle erano ben cotte, perché questo cuoce prima della carne.
Da Umberto nella genovese di baccalà usano mettere una manciata di pinoli, capperi e una passa; questo passaggio io l'ho omesso perché sentivo che il mio piatto già era abbastanza ricco, ma quando deciderò di replicare per condirci dei paccheri o delle candele spezzate proverò questa alternativa.
E così pian piano è arrivata la mia scelta ragionata sul ripieno e la mia scelta istintiva sulla sfoglia.
Nel ripieno il baccalà accompagnato dalla sapidità del caciocavallo stagionato e dalla delicatezza e dolcezza della mozzarella di bufala e della scarola.
La sfoglia invece l'ho definita una scelta istintiva, perché mentre ragionavo sul ripieno e sulla genovese, esclamavo nelle mie viscere: quanto vorrei fare un piatto di scialatielli al baccalà!
Poi la scelta illuminante di raviolizzare lo scialatiello!
Questa pasta è stata creata dallo chef amalfitano Enrico Cosentino alla fine degli anni ’60 e presentata per la prima volta ad un concorso di cucina, nel 1978, che gli valse il premio “Entremetier”.
Nati come pasta fresca, gli scialatielli, oggi, hanno spopolato nella grande distribuzione sotto forma di pasta secca, mantenendo però soltanto la forma, ma sostanzialmente sono preparati come altre paste, cioè solo con farina di grano duro e acqua.
Manipolare quest'impasto è stata una scoperta sorprendente per me. Morbido, facile da stendere, si è sigillato senza l'aiuto della spennellata sui bordi di uovo o acqua, è rimasto in forma seppure siano passate delle ore prima della cottura, e dopo la cottura i fagotti avanzati non si sono attaccati con il raffreddamento.
Lo decreto il mio impasto per tutte le paste ripiene!

Dosi per 4 persone

Prepariamo prima il baccalà e il suo fumetto.
Occorre un baccalà già ammollato. Eliminare la pelle, le pinne, la coda e le lische e con questi fare un fumetto, facendo rosolare in un tegame con olio extravergine. Aggiungere del porro, scalogno, carota e sedano a pezzi e continuare a rosolare per dieci minuti. Sfumare con una tazzina di vino bianco, aggiungere dei grani di pepe, salare e infine aggiungere 1 litro di acqua. Lasciar sobbollire per 1 ora e mezza, filtrare e usare per la preparazione della genovese.

Per la genovese di baccalà
1 kg di cipolle dorate
600 g di baccalà
Pepe
Olio extravergine
Vino bianco
Prezzemolo
Fumetto di baccalà


Affettare le cipolle e rosolarle in un tegame di terracotta nell’olio extravergine per 15 minuti. Spruzzare con vino bianco e lasciar cuocere dolcemente. Bagnare con il fumetto di baccalà solo quando queste risultano troppo asciutte.
Dopo 45 minuti aggiungere i pezzi di baccalà e il pepe. Lasciar cuocere altri 20 minuti, continuando ad aggiungere il fumetto quando occorre, fino ad avere una salsa morbida, in cui risultino ben amalgamati tutti gli ingredienti. 

Per i fagotti
200 g di farina 0
200 g di farina di grano duro
1 uovo
130 ml di latte
20 g di pecorino
(io  parmigiano)
basilico
1 cucchiaio di olio
Sale
Pepe bianco


Setacciare le farine sulla spianatoia, fare la fontana, sgusciare l’uovo e aggiungere il sale, il formaggio, l’olio e il pepe. Aggiungendo il latte a filo amalgamare con la forchetta, incorporando un po’alla volta la farina, poi continuare a impastare con le mani, piegando e ripiegando più volte per una decina di minuti.
Formare una palla, coprirla con una ciotola e far riposare per un ora.

Ripieno
4 cucchiai di baccalà prelevato dalla genovese
150 g di mozzarella di bufala campana dop
150 g di caciocavallo piccante
300 g scarola
1 filetto di acciuga
Aglio
Olio
50 g di pane

Pulire e sminuzzare la scarola e brasarla a fiamma dolce in olio, aglio e un’acciuga per 15 minuti, senza aggiungere liquidi.
Sbriciolare il pane e abbrustolirlo con un filo di olio.
Lasciar raffreddare bene e unire scarola e pane alla mozzarella tagliata a dadini e il caciocavallo grattugiato, aggiungere il baccalà amalgamando grossolanamente, lasciando ben distinti i vari elementi.
Stendere la pasta, tagliarla a rettangoli e da questi ottenere dei quadrati di 8 cm di lato.
Riporre al centro una cucchiaiata di ripieno unire i quattro angoli, sigillando i bordi con dei leggeri pizzicotti.


Cuocere i fagotti in abbondante acqua leggermente salata per 5 minuti, scolarli delicatamente con una schiumarola e adagiarli sulla genovese di baccala. Completare con una spolverata di prezzemolo e un filo di olio a crudo.


Note personali
- Volutamente non ho aggiunto sale in tutti i passaggi, per la presenza del baccalà, l'acciuga e i formaggi, e alla fine il risultato ha avvalorato la mia scelta
- Li ho chiamati fagotti, ma probabilmente era più appropriato definirli pizzicotti
- A Natale mangiamo la scarola all'acciuga con olive e uva passa, gli scialatielli con i frutti di mare, il baccalà in tutte le varie declinazioni. Questi sapori erano un po' tutti presenti, per cui questo sarà il nostro nuovo piatto delle feste


Con questa ricetta partecipo alla  sfida n 52 dell'Mtc.


domenica 8 novembre 2015

Pennette con pomodori, olive e ricotta


Siamo in pieno autunno, eppure mi viene voglia di preparare un piatto estivo.
Anzi da molti considerato estivo, ma lo vedo quantomai adatto per questi primi freddi, con i suoi sapori robusti e corposi, vellutati e avvolgenti, nonostante il pomodoro gli dia una nota di freschezza.
Di solito lo preparo con pomodori secchi sott'olio, tagliati a striscioline e aggiunti all'ultimo momento, durante la mantecatura.
Così ho fatto con i pomodorini, aggiunti solo all'ultimo momento
La ricotta l'ho distribuita a fiocchetti, dopo aver impiattato, ma se volete potete stemperarla con un po' di acqua di cottura della pasta, insieme al formaggio e un pizzico di pepe e ottenere un gusto ancora più avvolgente



Ingredienti
350 g di pennette
150 g di ricotta di bufala
Olive nere e verdi
Pomodorini
Aglio e olio
Finocchietto
Origano
Sale e pepe

Preparazione
Portare a ebollizione l'acqua in una pentola e cuocere le pennette.
Nel frattempo denocciolare le olive nere, cercando di lasciarle intere e ridurre a filetti quelle verdi.
In un tegame mettere a rosolare a fuoco dolce l'olio, l'aglio, l'origano, il finocchietto e le olive.
Per ultimo aggiungere i pomodori tagliati a filetti, alzare la fiamma e spadellare per un minuto.
Scolare la pasta e mantecarla, aggiungendo pecorino grattugiato e pepe.
Impiattare e distribuire la ricotta a fiocchetti


domenica 25 ottobre 2015

Gallina ripiena con le sue rigaglie, cipolle farcite di polenta ai funghi cardoncelli, mele allo scalogno e miele e salsa di cipolla alla birra rossa



Tenete presente quando il pensiero si ferma su un’idea? Questa ti gira e rigira per la testa e non ti lascia più, s’impossessa della capacità di cercare un’alternativa, di procedere, di far fluire la creatività altrove.
Ecco, questo mi è capitato questo mese, con la sfida dell’Mtc n 51 vinto da Patrizia delblog Andante con gusto. Lei ci propone il pollo ripieno, anzi la tecnica per disossare il pollo per poi riempirlo.
Ecco, mi son detta, faranno tutti il pollo, anche se lei ci propone qualsiasi altro volatile.
Poi la folgorazione: voglio fare il piccione! Subito poi l’idea creativa: il piccione con le tre fave.
Ora vi spiego: nella farcia ci volevo mettere le fave, volevo accompagnarlo con delle patate, magari sotto forma di budino o tortino, profumate alla fava tonka e infine completarlo con una salsa alla fava di cacao.
Il problema non è stata la fava ma il piccione!
Ho girato macellerie e supermercati ma neppure l’ombra.
Li vedevo per le strade, svolazzare e posarsi sui tetti, nelle piazze, che mi camminavano tra i piedi, così vicini  ma anche così lontani.
Mi ci vedevate voi rincorrere un piccione?
Magari riuscirlo anche a catturare e poi provare l’imbarazzo per occhi curiosi e facce titubanti!
E poi dove infilarlo? In una delle mie enormi borse? Oppure portarmi sempre dietro la borsa di tela che uso per la spesa? E un piccione che si dimenava all’interno di una mia borsa ve lo immaginate!
Poi è iniziata una sorta di nostalgia per i bei tempi che furono, quelli dell’età spensierata, quelli della mia infanzia. Avevamo decine e decine di piccioni che affollavano il fienile, i tetti e i balconi della nostra casa.
Poi spesso la domenica ne trovavo uno nel sugo, condito come una braciola, che rendeva quel sugo scuro e grasso ma anche buono e profumato. Ma il passaggio dal tetto al sugo non mi chiedevo come avvenisse, non m’importava. M’importava solo quel pezzo di pane intinto in quel sugo, quelle tagliatelle all’uovo condite con quella bontà unica.
Questo è stato per due settimane mentre si è delineata anche quella consapevolezza di rinunciare, perché non vedevo alternative.
Poi ieri pomeriggio, un sabato come tanti, Stefano: “ ma questo mese non partecipi all’Mtc?”
Ed io: “ sai, sento che ho perso quella passione che avevo un tempo; sto trascurando il blog e anche l’Mtc. Non seguo più gli altri blog, non sono più presente come un tempo. Penso che la mia non è stata una vera passione, ma un modo per tenere la mia testa impegnata e non pensare alla malattia e poi alla morte di papà”. Ora i miei pensieri sono solo per i figli. Loro mi riempiono la vita e mi tengono occupata”
Lui sopraggiunge: “ E’ il tuo spazio, è il tuo sogno che devi continuare a coltivare”
“Il sogno……” E inesorabilmente i miei ricordi sono riaffiorati, sono ritornati alla mia infanzia e dal piccione sono passata a una  gallina.
Ho ricordato di quando mia nonna faceva la gallina ripiena, ho ricordato che non la disossava lei e la farciva con le sue rigaglie. E ho ricordata che era una festa, ma una festa ancora più grande era quando portava in tavola il cappone ripieno. Poi con lo stesso spirito di quella bambina sono corsa giù chiedendo a mia madre di raccontarmi( allo stesso modo di come feci all’epoca della minestra maritata) per bene tutti i particolari e mi ha detto che quando era lei bambina si usava mettere dentro tutte le rigaglie, persino l’intestino pulito molto bene e tagliato fine. Allora, essendo tardi e non avendo più voglia di uscire ho chiesto a mia madre di sacrificare una gallina del sua pollaio.
E presto fatto, in men che non si dica, il mio sogno ha riacquistato l’antico vigore, con la consapevolezza piena stavolta di come la gallina sia passata dal pollaio alla cucina.

Patty spiega dettagliatamente come disossare il pollo con step e foto molto curate.
Ho riportato quanto scritto da lei perché mi è stato di grande aiuto.

Come prima esperienza mi ritengo molto soddisfatta


1 Prendete il vostro busto di pollo eviscerato, pulito e fiammato per eliminare eventuali residui di piume. Rinfreschiamo subito un po' di anatomia andando a lussare entrambe le cosce. Con il busto del pollo dritto di fronte a voi, dovrete infilare il pollice della mano sinistra (se non siete mancini) nella cavità intestinale fino a toccare l'articolazione dell'anca. Con l'altra mano tirate indietro la coscia rompendo l'articolazione. Il femore deve uscire dalla cavità dell'anca. Fate la stessa cosa con l'altra coscia.

2 Dovete togliere la forcella dello sterno. E' una delle operazioni più delicate: ruotate il pollo sempre in posizione supina, con il petto verso di voi. Spingete indietro delicatamente la pelle della cavità del collo. Toccate la polpa del petto intorno alla cavità e potrete percepire la forcella. Incidetela con la punta del coltello.

3 Con il coltello raschiate la carne intorno alla forcella in modo da farla apparire, quindi con delicatezza recidetela al vertice con il trinciapollo, facendo attenzione a non bucare la pelle.

4 La forcella è libera anche se l'osso lungo è ancora all'interno e verrà eliminato successivamente.


5 Adesso ruotate nuovamente il pollo e mettetelo con il petto a contatto con il tagliere. Tenetelo   schiacciato con una mano ed incidete nel centro della spina dorsale scendendo dal collo alla coda. Qui troverete resistenza all'inizio ma poi proseguendo sarà molto più agile. Aprite quindi il pollo a libro. Via via che procedete nel lavoro, asciugatevi bene le mani cercando di averle sempre prive di grasso che inevitabilmente potrebbe rilasciare il volatile. Il coltello deve essere sempre ben fermo nella vostra mano.

6 Procedendo dall'alto verso il basso e dalla colonna verso l'interno, fate scorrere la lama del coltello appoggiandola alla cassa toracica ed incidendo in profondità, cercando i raschiare bene la polpa dalle costole. Procedete con calma da una parte e poi dall'altra.

7 A questo punto avrete quasi terminato la parte più difficile. La gabbia toracica sarà quasi completamente staccata dal petto. Resterà lo sterno che potrete sollevare e staccare dal basso verso l'alto. Una volta inciso nella lunghezza, si staccherà completamente il resto dell'ossatura. Toccate il bordo del petto all'altezza del collo ed eliminate la parte lunga della forcella sempre incidendo con la punta del coltello. Tenete la carcassa da parte.

8 Adesso grattate via la polpa dalle ossa delle anche e staccate l'osso dalla giuntura della coscia con il trinciapollo. L'osso lungo della coscia sarà invece lasciato al suo posto per mantenere una bella forma finale.

9 Tagliate con il trinciapollo le ali all'altezza dell'articolazione. Quindi rimuovete il resto dell'ala in corrispondenza delle giunture. Spingete con il dito la pelle dell'ala all'interno della cavità che si sarà formata dopo l'eliminazione dell'osso. 

10  Il vostro pollo è disossato. Palpate con le mani la carne di tutta la superficie per sentire se qualche piccola scheggia di osso sia rimasta ed eventualmente eliminatela. Procedete a stendere il ripieno con cura.

11 Sollevate i lati del volatile per richiuderlo, fate coinciderei lembi di pelle con grazia e procedete alla cucitura. Cominciate dal collo e scendete cucendo senza tirare troppo la pelle perché con la cottura, tenderà a gonfiarsi e ritirarsi con il rischio di spaccarsi e rovinare tutto il vostro paziente lavoro. Potete usare filo da cucina o filo di seta a vostro piacere.

12 Una volta cucito il vostro polletto avrà più o meno questo aspetto. Legate le cosce per mantenere la forma in cottura.

13 Inumidite un largo foglio di carta da forno ed avvolgetevi stretto il pollo chiudendolo come un caramellone.

14 Avvolgete il caramellone in un lungo foglio di alluminio e legatelo con dello spago per dare definitivamente una forma cilindrica al vostro pollo. Adesso potete mettere in frigo per 2/3 ore o se preferite, per tutta la notte fino al momento di cuocerlo. Per la cottura bollita (ad esempio per la galantina), potrete lasciare il vostro pollo direttamente avvolto come indicato.


15 Per la cottura al forno, eliminate la carta, condite l'esterno del pollo massaggiandolo con sale e pepe quindi strofinatelo con piccoli fiocchi di burro che serviranno a mantenere morbida la pelle durante la cottura.

16  Qualora capitasse la piccola sventura di rompere la pelle, non succede niente. Si va avanti e si porta in fondo l'operazione. Sarà probabilmente meno aggraziato ma avrete sempre raggiunto un grande traguardo. Non sarà uno strappo che pregiudicherà la bontà e la riuscita della ricetta. Ricordatelo!

Ingredienti
1 busto di gallina eviscerato  di circa 1 kg
Le sue  rigaglie:
fegato, ventre, cuore e intestino
100 g di pane casareccio raffermo
2 uova
Una manciata di nocciole non tostate
2 cucchiai di uva passa
30 g di conciato romano a pezzetti
Un ciuffo di prezzemolo
Sale e pepe
Aglio e olio
Alloro
Brandy

Innanzitutto pulire per bene le rigaglie. In particolare l’intestino; dopo averlo sciacquato più volte, tagliarlo con le forbici per tutta la lunghezza, lavarlo di nuovo e ridurlo a piccoli pezzi, come il resto delle rigaglie.
Rosolarle in olio, aglio e alloro,salare e pepare. sfumare con una tazzina di brandy e attendere che raffreddino completamente.
In una ciotola mettere il pane ammollato e strizzato, le uova, le rigaglie di pollo, il conciato romano, abbondante prezzemolo, le nocciole, l’uva passa, un pizzico di sale e una spolverata di pepe.
Impastare con le mani fino ad aver ben amalgamato tutti gli ingredienti e adagiare la farcia sulla gallina disossata. Chiudere cercando di ridarle la forma originaria e cucire, sigillandola bene.
Chiudere come indicato ai punti 13 e 14 e lasciar riposare in frigo .
Al momento della cottura togliere gli involucri e procedere alla cottura nel wok con il fondo di cipolla alla birra



Per la salsa di cipolla alla birra
4 grosse cipolle dorate
6 bacche di ginepro
5/6 grani di pepe nero
4 chiodi di garofano
150 ml di birra rossa
100 ml di olio evo
Sale
1 cucchiaino di zucchero di canna

Tagliare la calotta superiore delle cipolle, svuotarle aiutandosi prima con un coltello e poi con uno scavino, facendo attenzione a lasciare integri gli ultimi tre strati e ricavarne dei gusci che metterete da parte.
Ora tritarle a pezzi grossolani. Scaldare l’olio in un wok, aggiungere il trito di cipolle e rosolarle brevemente.
A questo punto aggiungere la gallina, le bacche di ginepro, i grani di pepe e i chiodi di garofano e rosolare a fuoco vivace per una decina di minuti. Aggiungere il sale, lo zucchero di canna e la birra; far sfumare per una decina di secondi, abbassare la fiamma, coprire e cuocere per un’ora  aggiungendo una tazzina di acqua calda ogni vota che il fondo risulti asciutto.
Quando le cipolle avranno assunto un colore ambrato dal caratteristico odore di caramello, prelevare la gallina, versare il fondo in una ciotola, colare il suo liquido di cottura nel wok, aggiungere di nuovo la gallina e procedere con la cottura a fuoco dolce per un’altra ora, continuando ad aggiungere acqua calda al bisogno.
Le cipolle tenute da parte passarle al passaverdure, aggiungere poi alla fine il liquido di cottura della gallina e mixare con un frullatore ad immersione ottenendo un’emulsione vellutata e spumosa che servirà come salsa d’accompagnamento.

Contorni



Cipolle farcite di polenta ai funghi
4 gusci di cipolla
2 cucchiai di aceto bianco
150 g di polenta
150 g di funghi cardoncelli
Una spolverata di conciato romano
Aglio, olio, sale

Sbollentare i gusci di cipolla in acqua addizionata di aceto bianco per 10 minuti. Raffreddarle in acqua ghiacciata e metterle a scolare capovolte.
In un tegame rosolare i funghi tagliati a pezzi irregolari con olio, aglio e sale.
In una pentola a parte cuocere la polenta e aggiungere i funghi trifolati.
Con questa riempire le cipolle, adagiarle in una pirofila, irrorarle di olio prelevato dal fondo di cottura della gallina, spolverare di conciato romano grattugiato e gratinare in forno per 15 minuti



Mele allo scalogno
2 mele annurche
2 grossi scalogni
2 stecche di cannella
Sale alla vaniglia
Pepe bianco macinato
50 g di burro
Un cucchiaino di melata di bosco

Tritare finemente gli scalogni e appassirli nel burro  per 10 minuti a fuoco bassissimo.
Nel frattempo sbucciare le mele, privarle del torsolo centrale e affettarle. Adagiarle sullo scalogno, cospargerle di melata, aggiungere il sale alla vaniglia e il pepe bianco macinato.
Alzare la fiamma e rosolarle. Passarle in un piatto e irrorarle del loro sughetto scartando lo scalogno.
Tenerle in caldo







Queste sono le nostre signore del pollaio



E questi i loro generosi doni


venerdì 25 settembre 2015

Croissant sfogliati



Non ho mai sfogliato!
Il solo pensiero di dover affrontare questa impresa epica mi spaventava.
Non ci pensavo neppure!
“Nun’è cosa pe’ mmè” rispondevo a qualsiasi sollecitazione esterna.
E così ho trascorso la mia vita fino ad oggi, pensando che questo fosse un capitolo mai aperto per me.
Poi arriva la sfida n 50 dell’Mtc, la sfida di Luisa Jane Rusconi, del blog (oddio! Un nome inpronunciabile!!!) Rise of thesourdough preacher, con il croissant sfogliato, a farmi prendere coraggio e ad avere quella giusta e necessaria fiducia per  avventurarmi.
Cosa diceva lei di me a proposito del babà? Riporto la sua citazione: “Quando ho letto la sfida di questo mese per l’MTC Challenge ho fatto un salto di gioia, il babà! Una preparazione dolce che mi affascina da sempre…” Ecco Lou, sinceramente non è stata la stessa cosa per me, oltre le cose che ho detto, anziché un salto di gioia, avrei voluto sprofondare.
Mi sono avventurata con immenso piacere nella brisée, nel soufflè, nel muffin e persino nel bacio di cioccolato, ma questa no!!!!
Poi ho pensato che in questo modo avrei tradito lo spirito dell’Mtc, il credo a cui ho avuto fede sin dall’origine, e cioè quello di sfidare innanzitutto me stessa, per superare eventuali limiti e arrivare a un nuovo livello di conoscenza; avrei tradito te che avevi affrontato con coraggio il temibile babà; avrei tradito tutti quelli che non si aspettavano questa reazione da me.
E allora ringrazio Lou( prendendo sempre in prestito le sue parole usate per me) ” per aver lanciato una sfida di alto livello ma soprattutto per averci fatto dono di una ricetta STU PEN DA. Un lievitato sfogliato meraviglioso…”
Luo ci fa dono di alcuni punti che trascrivo per i miei lettori, perché mi sono stati estremamente utili

1. La farina. Deve essere di forza, pena lo strappo dell’impasto e la mancanza di alveolatura: ideale sarebbe una W300-330.
2. Il burro. Deve essere di ottima qualità, un burro bavarese, in quanto deve tenere il più possibile il calore e la lavorazione meccanica della sfogliatura. Inoltre il burro bavarese si presenta più grasso del burro italiano, che è ricco di acqua, in quanto in genere è ottenuto per centrifugazione dalla panna o dal latte intero.
3. La lavorazione dell’impasto. L’impasto va lavorato pochissimo, al punto che gli ingredienti sono ben amalgamati. Vietatissimo sviluppare la maglia glutinica in quanto con la sfogliatura l’impasto prenderà forza. Se partite con un impasto già molto teso finirà che alle prime pieghe si strapperà. Guardate fino alla nausea i video che vi propongo, soprattutto l’ultimo dove viene illustrato per bene il procedimento di stesura dell’impasto. Poco importa che voi non parliate inglese né francese, guardateli e carpite ogni informazione utile, ogni gesto.
– Vincent Talleu, un panettiere bravissimo e molto simpatico, spiega come fa i croissant
– Video francese di un portale femminile, femmeactuelle.fr, spiate per bene come stende l’impasto
– Altro video in francese, del portale enviedebienmanger.fr, osservate bene come fa le pieghe
4. La pazienza. È la vostra migliore alleata. Se avete l’impressione che l’impasto è difficile da stendere o che il burro inizia a scaldarsi troppo meglio fare qualche riposo in più in frigo, in modo da permettere all’impasto di rilassarsi e al contempo tenere il burro più compatto. Per questa operazione 20′-30′ sono più che sufficienti.
Questa è la mia versione, tenendo però fede a tutte le indicazioni di Lou.


Ingredienti


250 g farina 00 W350
80 g di farina di farro integrale
70 g di farina 0
220 ml latte
40 g burro ammorbidito a temperatura ambiente
30 g zucchero
10 g lievito di birra
9 g sale
4 g aceto di vino bianco
1/2 baccello di vaniglia

200 g burro per sfogliatura

Ho trovato molto utile per il procedimento questa scheda grafica di Dani-Pensacuoca del blog Acqua e Menta



Procedimento
In una ciotola sciogliete 15 g di zucchero, il sale con metà latte e l’aceto.
A parte sciogliete il lievito di birra  con l’altra metà di latte tiepido altri 15 g di zucchero a cui aggiungete anche i semini di vaniglia raschiati con un coltello dal baccello.
Setacciate le farine per sciogliere ni grumi; i residui di quella integrale che rimarranno nel setaccio aggiungeteli comunque  alle farine.
Unite il burro, gli ingredienti liquidi alle farine fino ad ottenere un impasto grezzo.
È importante che l’impasto non venga lavorato eccessivamente, in modo da evitare di sviluppare la maglia glutinica. Se ciò dovesse accadere vi ritrovereste con un impasto troppo forte che si strappa durante la fase della sfogliatura.
Formate un quadrato e avvolgetelo in pellicola alimentare. Fate riposare il panetto in frigo per 6 ore e se notate che l’impasto lievita dopo un paio d’ore sgonfiate l’impasto.
Poco prima di tirare fuori l’impasto preparate il panetto di burro schiacciandolo tra due fogli di carta da forno come mostrato nei video. Rimettete il panetto di burro nel frigo mentre stendete l’impasto.
Stendete l’impasto a circa 6 mm di spessore facendo in modo che sia largo poco più del panetto di butto e alto due volte l’altezza dello stesso.
Mettete il burro su una metà e richiudetevi l’altro lembo sopra come nel video di Envie de Bien Manger e procedete con la piega a tre (a differenza di quanto mostrato nel video, dove viene fatta una piega a quattro).
Mi raccomando, siate pazienti e per la stesura dell’impasto fate esattamente come lui, soprattutto la cosa di schiacciare con il mattarello, perché così non rischierete di strapparlo.


Avvolgete l’impasto in pellicola alimentare e fate riposare in frigorifero circa mezz’ora.
Stendete il rettangolo, avendo cura che la piega sia alla vostra destra, tirandolo ad una lunghezza corrispondente a tre volte il lato corto e fate una piega a tre come mostrato nel video.
Avvolgete in pellicola alimentare e fate riposare in frigorifero circa mezz’ora. Ripetete la piega a tre e il riposo in frigo. Se fa eccessivamente caldo fate riposare 15′ in frigo e 15′ in freezer.
Fuori dal frigo dividete l’impasto in due e stendete le due porzioni ad una dimensione di 26 x 34 cm e uno spessore di circa 3-4 mm ciascuna. Il piano di lavoro deve essere infarinato a sufficienza, ma non esagerate!
Sbattete l’impasto sul piano di lavoro due volte, per favorire sfogliatura, dopodiché tagliate dei triangoli dalla base di 11 cm circa (io uso un coltello molto grande e affilato tipo da macellaio).
Fate riposare i triangoli per 20′ in frigo prima della formatura.
Fuori dal frigo stirate leggermente la punta dei triangoli, praticate una piccola incisione in mezzo alla loro base e arrotolate con delicatezza i lembi senza premere né stringere troppo l’impasto.
Se fate i croissant la sera per il mattino lasciateli lievitare sulla teglia per un’ora, coperti con pellicola alimentare, dopodiché metteteli in frigo per tutta la notte.
La mattina tirate i croissants fuori dal frigorifero almeno due ore prima della cottura, spennellateli con dell’uovo sbattuto e passato attraverso un colino a maglia fitta muovendo il pennello dal centro del croissant verso l’esterno per evitare che l’uovo faccia attaccare gli strati della sfoglia e copriteli con pellicola alimentare.
I croissant vanno lasciati lievitare a temperatura ambiente almeno due/tre ore;  sono pronti quando tremano un po’ come un budino quando la teglia viene leggermente scossa (non esagerate, dopotutto non vorrete mica compromettere la lievitazione!).
Se volete cuocerli il giorno stesso disponete i croissant su una teglia da forno coperta con carta oleata, spennellateli l’uovo sbattuto, coprite con pellicola alimentare e lasciate lievitare a temperatura ambiente per circa 2-3 ore.
Prima di cuocere i croissant spennellateli nuovamente con l’uovo sbattuto.
Preriscaldate il forno a 220° C per 5′, cuocete per circa 10′ dopodiché abbassate la temperatura a 200°C e cuocete ulteriori 10′ o finché ben dorati.
Fuori dal forno fate raffreddare su una gratella.





Io li ho farciti con della chantilly alla menta  e una squisita confettura di mele anurche e pomodorino giallo con zenzero e cannella


Per la chantilly
125 g di panna fresca
50 g di zucchero a velo
Una manciata di menta fresca
Riscaldate leggermente la panna, aggiungete le foglie di menta sminuzzate e lasciate raffreddare.
Passate ora la panna aromatizzata attraverso un colino e lasciate raffreddare ulteriormente in frigo almeno due ore.
Aggiungere alla panna lo zucchero a velo e montate fino ad ottenere un composto spumoso ma morbido.

Per la confettura
3 mele annurche
250 g di pomodorini gialli
250 g di zucchero di canna bianco
2 fettine di radice di zenzero
1 punta di cannella in polvere
Lavate le mele e riducetele a pezzettini senza sbucciarle. Aggiungete lo zucchero di canna, lo zenzero e la cannella, amalgamate e lasciate riposare 1 ora.
Cuocete poi per mezz’ora a fuoco dolce; spegnete e riducete a purea fine prima con un frullatore a immersione e poi con il passaverdure.
A questo punto aggiungete i pomodorini tagliati a metà e cuocete un’altra mezz’ora.
Spegnete e trasferite in un vasetto pulito, tappate e lasciate riposare capovolto fino a completo raffreddamento.



Ma sono squisiti anche senza alcuna farcitura.!!!



Note personali
-La mia casa è stata inondata di un buon profumo di croissant. Abito su due livelli: il profumo è arrivato nell’ultima stanza del piano superiore, cioè la mia camera da letto, per cui la notte ho sognato di impastare in continuazione croissant. La mattina successiva mi sono svegliata senza alcun segno di stanchezza (era ovvio, era un sogno) ma soprattutto appagata e felice.

-Attenzione creano dipendenza, in questo momento ce ne sono altri a lievitare in frigo!!!

Con questa ricetta partecipo alla sfida n 50 dell'Mtc


sabato 22 agosto 2015

Linguine con fagiolini lunghi e pomodoro pizzutello


Quindici minuti, solo quindici, e otterrete uno dei piatti più buoni che abbiate mai provato a cucinare.
Ovviamente quanto pochi sono gli ingredienti e il tempo a disposizione, tanto eccellenti devono essere le materie prime usate.
Una costante in cucina!
E allora un'ottima pasta di Gragnano, un buon olio extra vergine d'oliva, dei freschissimi pomodori pizzutello, dei fagiolini lunghi che arrivano direttamente dall'orto dello zio, sono la base del mio piatto di oggi.
Poi se volete aggiungerci del parmigiano o pecorino, del basilico fresco o una punta di peperoncino nel soffritto, a voi la scelta: se piace non guasta.
E ora due parole sui pomodori e sui fagiolini lunghi
Il pomodoro pizzutello è un pomodoro a grappolo, di forma ovale, con l'inconfondibile punta alla base (da qui il nome).
E' coltivato nelle zone vesuviane e non necessita di irrigazione: caratteristiche che gli conferiscono un sapore dolce e intenso.
Un'altra dote che apprezzo molto di questo pomodoro è il tempo di cottura; un passaggio veloce in padella e con sorpresa vi renderete conto che, in men che non si dica, è già pronto.
Da luglio a settembre il cestino con i pomodori pizzutello non manca mai nella mia cucina.
Del fagiolino lungo non ne conoscevo l'esistenza fino a tre anni fa (non si finisce mai di imparare nella vita!), quando a cena da una bellissima persona conosciuta sul web lo incontro.
Qui il racconto di questo incontro (vi chiedo di andarlo a leggere) e di questa cena dove scrivo, tra l'altro, "esperienze come queste te le porti dentro per sempre". Ed io che sono una nostalgica cronica, una malata di ricordi languidi e traboccanti di emozioni non potevo certo dimenticarmene.
Non so cosa darei per fermare dei momenti o per avere la possibilità di ripeterli uguale, con lo stesso entusiasmo, la stessa carica di sogni, la stessa voglia di stare insieme, raccontarsi di progettare......ma non è sempre così.
La vita è un divenire continuo, si cambia e a volte gli eventi ti travolgono e ti fanno dimenticare la possibilità di fermarti.
Questo piatto è un omaggio a Speranza.
Un messaggio dove leggevo, in maniera fugace, perché ero impegnata a lavoro con delle persone, che era dai suoi fino al 6 agosto: contentissima me! Impossibilitata l'anno scorso e l'anno prima, ora volevo farle un saluto, volevo conoscere il suo bimbo, avevo voglia di vedere quanto era cresciuta la sua bimba, avevo voglia insomma di essere la stessa di tre anni fa.
Ma non sempre come si vuole vanno le cose!
Non sto qui a raccontarti, mia cara, di impedimenti e problematiche varie, ma sono arrivata al giovedì sera tardi rendendomi conto di essere stata rapita da un vortice infernale e non avere neppure avuto il coraggio e la lucidità mentale di avvisarti.
Cosa dirti?
Devo saper accettare i cambiamenti della vita.
Non sei tu che non voglio vedere, ma sono io che non riesco più a vivere le stesse cose di un tempo.
Tante cose mi sono capitate, forse troppe, mi hanno cambiata dentro e mi fanno guardare il mondo esterno sotto una luce diversa.
Se uno di questi giorni ci rincontreremo magari ti racconterò, amica mia.
Inevitabilmente questo piatto lo voglio dedicare anche a un'altra persona speciale, Paola, che nel mese di maggio, avendo vinto la sfida dell'Mtc, ci proponeva di rielaborare la sua pasta al pomodoro.
Dopo mesi di partecipazione ininterrotta, proprio con questa sfida, sono venuta meno (forse per gli stessi celati motivi raccontati a Speranza), non ho potuto omaggiare la mia conterranea, nutrizionista e magrissima, che ho avuto anche il piacere di incrociare il suo sorriso  proprio un anno fa.
Il concetto era quello di rifare un piatto, come si dice dalle nostre parti, sciuè sciuè.
Una cottura del pomodoro semplice e veloce.
Molti la vediamo come una ricetta di ripiego, da fare quando non si ha tempo o quando non si ha voglia di cucinare.
Ma secondo me e secondo tanti altri, la pasta al pomodoro è il piatto più buono che ci sia.


Ingredienti
400 g di linguine 
400 g di fagiolini lunghi
300 g di pomodoro pizzutello
1 spicchio di aglio
olio extra vergine d'oliva
sale
Preparazione
Mettere a scaldare l'acqua per la pasta.
Nel frattempo lavare i pomodorini e dividerli a metà, o "schiattateli"come amo fare io.
Scaldare l'olio, aggiungere l'aglio e farlo imbiondire a fuoco dolce.
Versare i pomodori, salare, alzare la fiamma e spadellare spesso facendoli cuocere per 8/10 minuti.
Pulire i fagiolini lunghi e lavarli, calarli nella pentola della pasta appena l'acqua bolle. Dopo 2 minuti versare anche le linguine e salare. Far cuocere, scolare e versare nel tegame con i pomodori.
Mantecare a fiamma spenta, impiattare e servire.


Con questa ricetta partecipo alle E-SALTATE : la pasta al pomodoro dell' MTC N°48 -di maggio 2015


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