E sì titolo
un bel po’ impegnativo: lungo, articolato, matematico!
Ma è frutto
di un lavoraccio personale fatto di studi e ricerca.
Era un po’
di tempo che mi frullava in testa di fare una focaccia così. Nella gastronomia
dell’azienda dove lavoro, anni fa arrivavano delle focacce direttamente dalla
Puglia, da un aspetto invitante e una consistenza morbidissima. Invano il tentativo
di avere la ricetta!
Intanto mi
misi a leggere l’etichetta e sapendo che gli ingredienti sono elencati in
ordine decrescente ho cercato di rielaborare quella versione. Mi sono messa
anche in giro per il web, ma non ho
trovato mai nulla di simile; se c’era il 100% di grano duro, non trovavo le
patate; se trovavo le patate, c’era anche farina 0; se non c’era farina 0 non trovavo il lievito madre.
Poi un
giorno la mia amica Maria Teresa mi regala un sacchetto di profumatissima
farina di grano duro, che lei ci ha tenuto a precisarmi di essere una farina
benedetta, acquistata direttamente a Giurdignano (Lecce), in occasione della Festa
delle tavole di San Giuseppe.
Innanzitutto
sono rimasta affascinata dal racconto di questa festa e del suo profondo
significato religioso;
curiosa ho
visitato il sito del comune di cui vi riporto integralmente ciò che riguarda la
festa
“Le Tavole di San Giuseppe sono un'antica
tradizione di cui Giurdignano vanta le origini. Esse affondano le radici nei
grandi festeggiamenti religiosi medievali. E' un'atmosfera mista tra lo stile
bizantino ed il barocco quella che accoglie il visitatore a Giurdignano in
questi giorni di festa.
Ogni anno a Marzo, in occasione della Festa di San Giuseppe, è ancora viva l'usanza di preparare le "Tavole", un'originale forma devozionale che si rinnova, ogni anno, con identico spirito di carità e di sacrificio.
Le Tavole di San Giuseppe sono lunghe tavolate coperte da candide tovaglie, ornate di fiori e ceri accesi, con al centro un grande quadro del Santo. Su di esse, grossi pani circolari con nel mezzo un finocchio ed un'arancia e le pietanze della tradizione: "vermiceddhi" con ceci, pasta con miele e mollica di pane, verdura lessata, pesce fritto o stoccafisso in umido, lampascioni, ceci, cartellate e "purciddruzzi" con il miele, olio e bottiglie di vino.
Alcuni di questi cibi hanno un significato simbolico e rituale: la pasta e ceci, per i colori, rappresenta il narciso, tipico fiore primaverile; i lampascioni il passaggio dall'inverno alla primavera, il cavolfiore la verga fiorita di San Giuseppe, il pesce fritto il cristo, le cartellate le fasce di Gesù Bambino, lo stoccafisso era, un tempo, il cibo delle grandi occasioni.
Quando una famiglia devota decide di "fare la tavola" invita i Santi, da un minimo di tre (San Giuseppe, Gesù Bambino, e la Madonna, che deve essere una ragazza nubile) a un massimo di tredici ed in ogni caso sempre in numero dispari. San Giuseppe, a capo tavola, dà inizio al pranzo battendo un colpo di bastone sul pavimento; quindi con tutti gli altri assaggia ciascuna pietanza, segnandone la fine con dei colpettini di forchetta sul piatto, per recitare una preghiera.
Per ultimo, la famiglia consegna i grossi pani ai rispettivi Santi, i quali rispondono con un ringraziamento.”
Ogni anno a Marzo, in occasione della Festa di San Giuseppe, è ancora viva l'usanza di preparare le "Tavole", un'originale forma devozionale che si rinnova, ogni anno, con identico spirito di carità e di sacrificio.
Le Tavole di San Giuseppe sono lunghe tavolate coperte da candide tovaglie, ornate di fiori e ceri accesi, con al centro un grande quadro del Santo. Su di esse, grossi pani circolari con nel mezzo un finocchio ed un'arancia e le pietanze della tradizione: "vermiceddhi" con ceci, pasta con miele e mollica di pane, verdura lessata, pesce fritto o stoccafisso in umido, lampascioni, ceci, cartellate e "purciddruzzi" con il miele, olio e bottiglie di vino.
Alcuni di questi cibi hanno un significato simbolico e rituale: la pasta e ceci, per i colori, rappresenta il narciso, tipico fiore primaverile; i lampascioni il passaggio dall'inverno alla primavera, il cavolfiore la verga fiorita di San Giuseppe, il pesce fritto il cristo, le cartellate le fasce di Gesù Bambino, lo stoccafisso era, un tempo, il cibo delle grandi occasioni.
Quando una famiglia devota decide di "fare la tavola" invita i Santi, da un minimo di tre (San Giuseppe, Gesù Bambino, e la Madonna, che deve essere una ragazza nubile) a un massimo di tredici ed in ogni caso sempre in numero dispari. San Giuseppe, a capo tavola, dà inizio al pranzo battendo un colpo di bastone sul pavimento; quindi con tutti gli altri assaggia ciascuna pietanza, segnandone la fine con dei colpettini di forchetta sul piatto, per recitare una preghiera.
Per ultimo, la famiglia consegna i grossi pani ai rispettivi Santi, i quali rispondono con un ringraziamento.”
Da non
trascurare una prerogativa spirituale fondamentale che mi ha raccontato Maria
Teresa: i padroni di casa e i “Santi”, devono essere confessati e comunicati
prima di partecipare al banchetto.
Quindi
memore dell’etichetta ed entusiasta per il dono ricevuto, immaginate con quale
spirito mi sia messa a preparare e sfornare questa delizia e condividerla con
la mia amica e tanti altri amici con cui ho trascorso il 25 aprile.
Spero che
tutti i miei lettori pugliesi, gli
amanti della Puglia e gli amici blogger, tra cui Mimmo , apprezzino
questa mia condivisione, fatta un po’ in punta di piedi, sperando di non aver
stravolto uno dei cibi che rappresenta la Puglia. Infine spero di aver fatto un
gradito regalo a uno dei miei cugini, Luca, per metà pugliese, vissuto da
sempre in questa meravigliosa terra.
Ingredienti
800 g di
farina di grano duro
800 ml di
acqua
300 g di
lievito madre
2 patate
bollite
25 g
cucchiaino di sale fino
20 g di
malto d’orzo
50 ml di
olio evo
Sale grosso
Pomodorini
Cipolle rosse
Rosmarino
Procedimento
Innanzitutto
una premessa. Poiché il mio intento era quello di avere una focaccia con solo
farina di grano duro, ho cominciato tre giorni prima a preparare un lievito
madre con questa farina. Il primo giorno ho prelevato 20 g del mio LM, fatto
solo con manitoba e ho rinfrescato per tre volte con la stessa regola: farina
di semola di uguale peso del LM e metà acqua. Per cui al termine dei tre
giorni, seguendo questa schema ho utilizzato in totale 195 g di farina di grano
duro, presa dal sacchetto che avevo in dotazione e ottenendo così 325 g di LM
di farina di grano duro.
Al quarto
giorno ho proceduto a fare un polish con
il LM ottenuto, 600 g di farina di grano duro e 600 ml di acqua. Ho amalgamato
tutto in una ciotola, ho coperto e ho lasciato lievitare tutta la notte.
La mattina successiva
ho aggiunto il resto della farina, le patate bollite e schiacciate, il
malto d’orzo e per ultimi il sale sciolto nel resto dell’acqua intiepidita e il
sale. Lavorare l’impasto nella ciotola per una decina di minuti e poi versarlo
in due teglie di 30 cm di diametro, unte abbondantemente con olio di oliva;
livellare la superficie con il palmo della mano bagnato in un miscuglio di
acqua e olio e lasciar lievitare in forno spento per 4 ore e comunque fino al
raddoppio. A questo punto farcire le due focacce con cipolle affettate sottili
e pomodorini tagliati a metà e completare con una spolverata di sale grosso e
degli aghi di rosmarino fresco. Cuocere in forno preriscaldato a 230° per 35/40
minuti. Una volta cotte lasciar riposare in teglia almeno una decina di minuti.