giovedì 18 settembre 2014

Crostata di fichi e rosmarino




Io detestavo i fichi, detestavo mangiarli e toccarli perché m’impressionava il loro interno.
Vedevo la mia mamma mangiarli con una tale soddisfazione che io non comprendevo e non condividevo affatto, ma la mia nonna ribatteva : “ai miei tempi costituivano il pasto, ci portavamo il pane da casa in campagna e dopo mezza giornata di duro lavoro lo trovavamo secco tanto era bollente il sole, ma con un paio di fichi aperti e appoggiati sopra si aggiustava tutto”.
Poi da lì in poi la nonna iniziava a raccontarmi di tutti gli abbinamenti presi dalle loro campagne che si facevano con il pane, secondo la stagione: con l’uva fragola, con la mela annurca, con le arance, con i pomodori, con la rucola selvatica. Poi quando la terra non riservava nulla ci si arrangiava con il vino. Si, proprio così, si innaffiava il pane secco con il vino rosso che ci si portava anch’esso dietro da casa e si racconta che era una vera leccornia, ambita anche dai più piccoli, ai quali un pezzettino non si negava mai.
Quando si toccavano le corde dell’emozione che vedevo negli occhi dei miei cari, era inevitabile un’evoluzione in me, una spinta a superare le mie remore, che non mi permettevano di vivere un’esperienza che per i miei cari era stata un tempo oltre che nutrimento anche conforto e calore familiare.
E allora ecco la spinta a provare!
Con i fichi ho iniziato soltanto con i dolci, confetture e marmellate comprese, ma non riuscivo ancora a mangiarne di freschi.
Poi ho conosciuto Stefano; schizzinoso con i pomodori, con la cipolla nel sugo, con il brodo non colato, con il minestrone non passato, con la pelle del pollo, con la carne non sgrassata, con gli abitanti del mare provvisti di lische e che mangiava due o tre frutti.
Ma quando ci si ama mica si badano a queste cose? Certamente no!
Ma non per me, perché io con le mie fantasie culinarie e con il mio amore viscerale per la cucina ho sempre sentito in me la vocazione di educare le abitudini di Stefano verso un’alimentazione consapevole volta a suscitare la sua curiosità, superare i suoi limiti e mangiare tutto indistintamente.
Impresa ardua, anzi impossibile: in venti anni non sono riuscita a indurre neanche una conversione verso un nuovo cibo!


Ma lui, beffa della sorte, ci è riuscito a farmi superare la mia avversione ( e le mie si contano su una mezza mano) storica e atavica verso il fico. E non è stata una lezione a tavolino e neppure una forzatura ma semplicemente l'esempio. Di anno in anno vederlo con quella ciotola piena di fichi davanti, vederlo beatamente gustarseli e poi ogni volta con tanta delicatezza che me li proponeva dicendomi di provare soltanto perché molto buoni, alla fine mi ha contagiata e non ho resistito più. Paure e fantasmi che si dissolvevano, sicurezza di non farlo mai che svaniva, certezza di non riuscirci che decadeva di fronte a tanta bontà mielosamente confortante.
E ora sono due o tre anni che faccio delle vere scorpacciate.
Ora dopo averli provati per l'ennesima volta con vari tipi di formaggi,  sul pane come faceva la mia nonna, in mezzo alla sfoglia di mozzarella con il crudo e un goccio di miele, avevo proprio voglia di una crostata fatta con farina integrale e del formaggio. 
Neanche il tempo di pensarlo che sul web mi imbatto nel blog di Elisa, Il fior di cappero, dove trovo la Rosemary Fig Tarte proposta per la re-cake di settembre, una sorta di gioco dove poter rielaborare la ricetta proposta, secondo i propri gusti.



CROSTATA DI FICHI E ROSMARINO


Per la crostata:
112 g di burro a temperatura ambiente
57 g di zucchero di canna
1/2 cucchiaino di sale 
100 g di farina 1
50 g di farina 0
1 rosso d'uovo (grande)


Per il ripieno:
8 fichi maturi, tagliati a metà o spicchi
3 cucchiai di zucchero di canna 
3 ramoscelli di rosmarino
225 g di ricotta di bufala
110 gr di formaggio di capra
62 gr di yogurt greco bianco
1 cucchiaio di zucchero 
37 gr di miele
Per una tortiera di 24 cm di diametro o,
come ho fatto io, due mini tortiere
da 10 cm


Per la crostata:
Lavora il burro con lo zucchero finché non diventerà cremoso. 
Aggiungi la farina e lavora finché non sarà completamente incorporata. 
Aggiungi infine il rosso d'uovo.
Forma una palla e avvolgila nella pellicola trasparente e metti in frigo per un'ora. 
Trascorso il tempo togli dal frigo e lascia ammorbidire.
Infarina la tavola e inizia a stendere la pasta. 
Metti la pasta nella teglia che avrai scelto, bucherella con i rebbi di una forchetta il fondo e il bordo e fai cuocere in forno caldo per 30 minuti a 180°C.



Per il ripieno:
Metti i fichi tagliati a spicchi su di un foglio di carta forno e spolverizzali con una generosa quantità di zucchero di canna e qualche ago di rosmarino. 
Inforna sul ripiano più alto e griglia finché lo zucchero non inizierà a caramellare, ci vorranno circa 5 minuti.
In una ciotola amalgama la ricotta con il formaggio di capra e lo zucchero e lavorali fino ad ottenere una crema omogenea. 
Aggiungi lo yogurt ed il miele. 
Lavora finché il tutto non sarà ben amalgamato.
Versa la crema di formaggio nella crostata e decora con i fichi caramellati e qualche ago di rosmarino fresco.







mercoledì 3 settembre 2014

Torta alle albicocche



Una torta sicuramente non bella da guardare perché sono una frana con decori e presentazioni ma sicuramente buona da mangiare. Morbida e gradevole perché impregnata degli aromi dell’albicocca, presente non solo con il frutto ma anche con la confettura che le conferisce quelle note fruttate che persistono nel palato.
E in compenso un dolce leggero perché con pochi grassi e poche uova.
Un peccato di gola che possiamo permetterci, uno strappo alla regola che non ci fa sentire in colpa, confortati dall’idea della presenza della frutta.


Ingredienti
150 g di farina 0
50 g di farina di riso
2 uova
150 120 g di zucchero di canna
20 ml di olio di semi
50 g di yogurt greco
5 albicocche
2 cucchiai di Fiordifrutta albicocche
1 tazzina di latte
2 cucchiaini di lievito per dolci
un pizzico di sale
Per decorare
Sciroppo di cottura delle albicocche
Zucchero a velo
Per uno stampo da 22 cm di diametro
Burro
Zucchero di canna


Preparazione
Lava le albicocche, elimina il nocciolo e tagliale a fettine. Cuoci in un tegame coperto per 3 minuti con un cucchiaio di zucchero prelevato dal totale. Spegni, prelevale con un cucchiaio lasciando colare lo sciroppo e trasferisci in un piatto perché raffreddino. 
In una ciotola monta le uova con lo zucchero fino ad avere un composto chiaro e spumoso.
Aggiungi alternativamente a cucchiaiate le farine setacciate, l’olio, lo yogurt, il latte e la confettura Fiordifrutta.  Per ultimi il lievito setacciato, il sale e le albicocche, lasciandone da parte una decina di fettine per la decorazione finale. Trasferisci nello stampo precedentemente imburrato e spolverato di zucchero di canna e cuoci in forno preriscaldato per 30 minuti, e comunque fino a quando facendo la prova con uno stecchino di legno questo risulta asciutto.
Sforna il dolce, lascialo intiepidire per 15 minuti e poi trasferiscilo su un piatto.
Nel frattempo prepara il decoro. Aggiungi nel tegame con lo sciroppo 3 cucchiai di Fiordifrutta , fai sciogliere a fuoco dolce per un paio di minuti e poi passa il composto attraverso un setaccio o un passaverdure a fori stretti. Metti in un cornetto di carta e decora il dolce, dopo averlo spolverato di zucchero a velo, secondo la tua fantasia. Infine completa con le fettine di albicocche.


Note personali
-Per i dolci uso uno zucchero di canna specifico che trovo in un negozio di commercio equo solidale. E’ uno zucchero chiaro, fine e asciutto. In alternativa puoi usare un Demerara comune preventivamente passato al mixer per renderlo più fine.


Con questa ricetta partecipo al contest Le ricette dell'estate cucina light con Fiordifrutta


venerdì 15 agosto 2014

Papaccella napoletana ripiena di baccalà con fonduta al conciato romano


Questa che vi racconto oggi è un'altra Campania, quella a cui sono legati i miei ricordi e i miei affetti più cari.
Avrei potuto raccontarvi di mozzarella, quella che più un prodotto è diventata un valore per la nostra terra e per la mia famiglia in particolare, da difendere e di cui andare fieri per la sua bontà e la sua unicità, ma non lo faccio perché dai ricordi e dagli affetti oggi voglio tirar fuori qualcosa da salvare dall'oblìo, da salvaguardare dall'omologazione, da tutelare anch'essa per la sua tipicità.
E' la papaccella napoletana. Tutelata dallo Slow Food, coltivata da pochi produttori dell'area vesuviana che attuano un disciplinare che persegue innanzitutto la qualità con metodi ecosostenibili ed ecocompatibili, commercializzata direttamente da loro non per un mercato di massa ma per quelle persone che ne apprezzano il valore, la storia e la tradizione legate ad essa.
Alla papaccella, come dicevo, sono legati i miei ricordi più cari perchè era uno di quei cibi più amati dal mio papà. E ora che non c'è più da sette mesi i ricordi legati al cibo mi rimandano alla sua memoria ancora di più, gustandoli in una maniera diversa, approcciandomi ad essi allo stesso modo in cui faceva lui.
Se per me certi cibi meritavano solo un assaggio, giusto per soddisfare una mera curiosità, per lui costituivano un pasto appagante ed esaustivo.
Mio padre aveva la capacità di godere di una tale soddisfazione (ho fatto un pasto da re) anche se mangiava una semplice acciughina condita con olio e pepe, insieme a del pane cotto con le fascine.
La papaccella la produceva direttamente lui stesso. Si rivolgeva al suo fornitore di piantine di fiducia e ricordo che ne acquistava metà rosse e metà gialle e poi le impiantava nel terreno alternandole di colore; che meraviglia quando vedevo quei bottoncini verdi che schiudevano al posto del fiore e poi giorno per giorno diventavano sempre più grandi e che meraviglia ancora di più quando poi le vedevo mature con quei colori vividi e brillanti che si notavano da lontano.
Una volta mature,era di questi tempi di solito, tra la metà e la fine di agosto, mio padre le raccoglieva e arrivato a casa le puliva una ad una con un panno umido e intere le riponeva in un grosso e panciuto vaso di vetro dove poi ci versava l'aceto rosso (anche questo preparato da lui stesso con il vino di uva fragola che coltivava sulla sua terra) "spezzato" da un po' di acqua.Le lasciava maturare bene per consumarle in inverno, soprattutto tra il periodo natalizio e il periodo del maiale (quando ancora si ammazzava in casa). Infatti trionfava sulla tavola natalizia nell'insalata di rinforzo, con il baccalà lesso e le olive nere, con " o' pero e o' musso"; e poi fritta con le costatelle di maiale e la salsiccia appena insaccata.
Quando lui tornava stanco e affamato dalla campagna alla domanda di mia madre "cosa ti preparo?", la sua risposta più sovente era"aspetta che prendo na' puparola sott'aceto e la mangio con un po' di pecorino". E così lo vedevo salire dalla cantina con un piatto in ognuna delle mani: in uno 3-4 papaccelle dai colori vividi e brillanti allo stesso modo di come erano state invasate, nell'altra una bella forma di pecorino conciato prelevato dall'olio dov'era stato messo la primavera precedente e che poteva durare fino a due primavere successive diventando scuro e piccante con un forte aroma che persisteva in bocca anche dopo qualche oretta.
Anche il pecorino si faceva a casa mia. Mio padre non allevava le pecore, a questo non ci era arrivato, ma barattava l'erba che seminava sui suoi terreni alla fine dell'inverno con il latte delle pecore che pastori locali portavano a pascolare da noi.E allora ogni primavera ricordo ancora quando era il momento di fare il pecorino; mi tenevano lontana per paura che combinassi qualche guaio e da dietro i vetri cercavo di imprimere in me tutte quelle immagini a cui assistevo.
E si faceva allo stessa maniera del conciato romano, anch'esso presidio Slow Food. I miei non lo lavavano con l'acqua di cottura delle pettole ma con l'aceto e non lo invasavano con la nepitella e il vino ma semplicemente con olio.



Ma quando conobbi Manuel e assaggiai un pezzettino del suo conciato ebbi prima un tuffo al cuore e poi un tuffo indietro di venti anni per quel sapore antico e familiare che ritrovai nel suo formaggio che da sempre era stato il formaggio di casa mia.

Fin da quando fu indetto il contest Terra di fuoco, dove si racconta di un'altra Campania, pensai di voler riunire in un unico piatto tutti i sapori che mi hanno accompagnata sin da bambina, tutti i ricordi che mi hanno nutrita più del cibo, tutte le emozioni che oggi sono diventate un'eredità preziosa da custodire ma anche condividere per riassaporare i valori della nostra terra dove prima del prodotto c'è amore, dedizione, sacrificio e rispetto anteposti sempre e comunque al semplice profitto.




Ingredienti
4 papaccelle ricce sott'aceto
200 g di pane cafone
200 g di baccalà dissalato
100 g di olive nere
30 g di cucunci
6 albicocche del Vesuvio disidradate
pepe nero
origano 
una punta di aglio
olio extra vergine di oliva

Per la fonduta
30 g di conciato romano
100 ml di panna fresca di bufala

Con un coltellino appuntito e affilato togliere il torsolo dalle papaccelle, sciacquarle sotto acqua corrente per eliminare i semi e l'eccesso di aceto e riporle capovolte perché asciughino.
Lessare il baccalà per una decina di minuti, scolarlo e far raffreddare.
Sbriciolare il pane e tostarlo brevemente in una padella antiaderente.
In una ciotola riunire le olive snocciolate, le albicocche ridotte a piccoli dadini e i cucunci dissalati e tagliati a rondelle sottili.Aggiungere il pane, il baccalà sfogliato, l'origano , l'aglio tritato finemente, il pepe e un generoso giro di olio. Amalgamare bene gli ingredienti e lasciarli riposare un'oretta poi aiutandosi con un cucchiaio riempire le papaccelle e richiuderle con il loro torsolo ripulito dai semi. Trasferirle in una teglia, irrorarle di olio e cuocere in forno preriscaldato a 200° per 20 minuti.
Per la fonduta. In un tegame grattugiare il conciato, aggiungere la panna di bufala e riscaldare su fuoco dolce girando con una frusta senza mai fermarsi fino a quando la salsa risulta omogenea e vellutata.
Servire le papaccelle irrorandole con la fonduta al conciato romano.




Note personali
- Di solito la papaccella cotta a forno mia madre la faceva con acciughe, capperi, uva passa e pezzetti di pecorino conciato. Questa ricetta l'ho rielaborata per poter assaporare e ottenere gli stessi risultati ma con ingredienti diversi.
- L'albicocca del Vesuvio disidratata conserva le stesse note aromatiche del frutto fresco e la utilizzo spesso in cucina allo stesso modo dell'uva passa ottenendo un risultato meno dolce ma equilibrato con ingredienti salati.
- I cucunci sono i frutti della pianta del cappero di cui soventemente si usano i boccioli. Ricchi di semini all'interno e più grandi del cappero vero e proprio, anch'essi si conservano sotto sale o sotto aceto. Avendo una mia amica delle bellissime piante che spuntano da un muro di tufo, indistintamente lei raccoglie frutti e boccioli conservandoli separatamente.
- Anziché dell'acciuga salata ho voluto utilizzare il baccalà perché al mio papà piaceva così, semplicemente lessato e condito all'insalata con papaccelle e olive nere.
- Il pecorino ho preferito utilizzarlo come salsa d'accompagnamento per mitigare un po' il suo aroma pungente.




Con questa ricetta partecipo al contest Terra di Fuoco.

venerdì 1 agosto 2014

Cous cous allo zenzero e lime su salsa fredda alla mediterranea per #GalleriadelsaporeCirio


Il 9 luglio ho avuto la possibilità, invitata da Mariachiara Montera, di partecipare alla Galleria del Sapore Cirio presso la Città del Gusto del Gambero Rosso a Napoli, terza tappa dopo Torino e Roma. 
Amore per la cucina e arte si sono incontrati in ogni tappa, dove ogni volta hanno cucinato 16 food blogger accompagnati da una performance live di un visual artist, Rosario, di 9periodico, per testimoniare che cucinare è arte, cucinare è la massima espressione della creatività. 
Un'esposizione temporanea del gusto di opere tirate fuori dall' artistic box. Su ogni postazione dove c'erano fuochi a induzione, tegami, padelle e coltelli, ci hanno fatto trovare un misterioso cesto coperto da un telo dove vi si trovavano tre ingredienti da usare obbligatoriamente e da abbinare ad altri a nostra scelta tra quelli in dotazione della cucina. 
Alzo il telo e cosa vedo? Una meravigliosa orata che profumava di mare, una radice di zenzero e un barattolo di polpa Cirio. Sinceramente ho avuto un attimo di panico: come potevo mai abbinare zenzero e pomodoro? Un ingrediente cosi mediterraneo e casareccio da abbinare a un aroma così lontano dalle mie memorie gustative? Ho avuto all'inizio un rifiuto di cimentarmi, anzi avevo sinceramente intenzione di protestare e esprimere il mio disappunto al bravissimo chef Luca Ogliotti, il quale doveva poi assaggiare il mio piatto e giudicarlo. 
Ma poi ecco arrivata l'ispirazione artistica! Decido di elaborare e manipolare il pomodoro e lo zenzero come se avessi dovuto fare due ricette distinte e accostarle in modo da percepire i sapori sempre in maniera distinta ma facendoli amalgamare sollo alla fine in bocca. Tutto questo all'apertura del barattolo; avete presente quando sbollentate i pomodori freschi, li spellate e poi li passate; avete presente quel profumo mentre siete intenti a far girare il passaverdure? Ecco questo è l'odore che emanava quella polpa, odore di pomodoro fresco, appena raccolto e tale l'ho voluto lasciare.
E allora tutti impegnati con le proprie opere secondo quanto uscito dal box, tutti, come me a sbirciare il box accanto, a far fronte a piccoli problemi, tutti a eseguire finalmente una ricetta che in un lampo senti come una piccola grande opera che stai creando, tutti soddisfati di avercela finalmente fatta. 
Poi uno alla volta tutti a presentare i piatti allo chef, tutti a guardare attentamente la sua espressione durante l'assaggio, tutti attenti ad ascoltare il suo giudizio come se avessimo dovuto captare qualcosa di determinante per il nostro orgoglio di blogger. 
Il mio piatto? Lui l'ha trovato un po' povero di sale (e questo me l'aspettavo visto che, da buon romano, durante il master class ci ha presentato dei crostini al pecorino e un'amatriciana rivisitata; e visto che ho l'abitudine di usarne davvero poco) però in compenso ha sottolineato l'aspetto positivo di questa carenza, perché in questo modo si poteva sentire l'aroma dello zenzero e di tutti gli altri elementi della mia preparazione; si è poi complimentato per la croccantezza e per il sapore distinto delle verdure; alla fine ha detto: brava, davvero buono


Ingredienti
2 bicchieri di cous cous
1 radice di zenzero
1 lime
1 peperone rosso
1 zucchina
1 carota
½ porro
1 orata da 600/700 g
1 barattolo di polpa Cirio
basilico fresco
olio evo
sale
Preparazione
Fare un brodo con 750ml di acqua lo zenzero e la buccia di lime, lasciando sobbollire coperto per una ventina di minuti. Spegnere e filtrare. Versare 2 bicchieri di cous cous in una pirofila larga, aggiungere 2 bicchieri e mezzo di brodo e un filo di olio; amalgamare e lasciar idratare per 5 minuti, poi sgranare con le mani. Nel frattempo arrostire il peperone , spellarlo e tagliarlo a dadini; tagliare a dadini anche zucchine, carote e porro e brasarli separatamente in tegame coperto senza olio. Pulire l'orata, sfilettarla e tagliarla a dadini; rosolarla velocemente in padella con un filo di olio per 1 minuto. Riunire tutti gli ingredienti nella stessa pirofila del cous cous. Per la salsa aprire il barattolo di polpa versarlo in un boccale, aggiungere un pizzico di sale, 4cucchiai di olio,delle foglie di basilico sminuzzato. Frullare fino ad ottenere un'emulsione omogenea e vellutata. Adagiare delle cucchiaiate di salsa fredda in un piatto fondo, sistemare il cous cous sopra la salsa e completare con un filo di olio


Il mio piatto presentato durante la sfida

I sedici blogger di Napoli

I blogger, l'artista, lo chef, la cara Mariachiara e lo staff della Cirio

Un bellissimo selfie

Lo chef Luca Ogliotti

La performance live di Rosario

Ed io grata per questa bellissima esperienza

martedì 22 luglio 2014

INSALATA DA TIFFANY: PERCHE' #questoepiubello




Dopo L'ora del patè,ad appena sette mesi dalla sua uscita, eccoci al secondo libro dell'Mtc che ha per tema le insalate; una portata che ebbe finalmente una collocazione di tutto rispetto nei menù durante la Belle Epoque. Un'atmosfera ricreata nella sezione "insalate da Tiffany" (da qui il titolo del libro) dove dalle foto si possono ammirare  pezzi d'epoca pregiati: Lalique, Baccarat, argenti, libri antichi autografati e amenità del genere; e poi 53 ricette facili, tra cui la mia insalata di polpo.
Secondo lo spirito dell'Mtc, non ci sono solo le ricette del tema, ma anche utili istruzioni per preparare con le proprie mani salse, condimenti, emulsioni e inoltre oli, aceti e sali aromatici.


Insalata da Tiffany-Collana : I libri dell'MTChallenge, vol 2°
Il libro è edito da Sagep Editori
da un'idea di Alessandra Gennaro
le fotografie sono di Paolo Picciotto
le illustrazioni di Mai Esteve
l'impaginazione è di Barbara Ottonello di Sagep Editori
la direzione e coordinamento editoriale  è di Fabrizio Fazzari e
Alessandra Gennaro
il prezzo è di 18,00 euro.


Acquistando una copia di Insalata da Tiffany, contribuirai alla creazione di borse di studio per i ragazzi di Piazza dei Mestieri (link: http://www.piazzadeimestieri.it/), un progetto rivolto ai giovani oggetto della dispersione scolastica e che si propone di insegnare loro gli antichi mestieri di un tempo, in uno spazio che ricrea l'atmosfera di una vecchia piazza, con le botteghe di una volta- dal ciabattino, al sarto, al mastro birraio e, ovviamente, anche al cuoco. La Piazza dei Mestieri si ispira dichiaratamente a ricreare il clima delle piazze di una volta, dove persone, arti e mestieri si incontravano e, con un processo di osmosi culturale, si trasferivano vicendevolmente conoscenze e abilità: la centralità del progetto è ovviamente rivolta ai ragazzi che trovano in questa Piazza un punto di aggregazione che fonde i contenuti educativi con uno sguardo positivo e fiducioso nei confronti della  realtà, derivato proprio dall’apprendimento al lavoro, dal modo di usare il proprio tempo libero alla valorizzazione dei propri talenti anche attraverso l’introduzione all’arte, alla musica e al gusto.





A meno di un a settimana dall'uscita è già ai primi posti nella top ten dei best seller di cucina; un vanto tutto mady in Italy, nato dalla collaborazione di blogger fantasiose e creative dove dietro però c'è l'anima e il cuore di Alessandra Gennaro 
Si può ordinare su Ibis, Amazon e inoltre qui sul sito della Sagep c'è l'elenco di tutti i distributori dove le librerie possono fare l'ordine.

Vi chiedo anche di andare qui e leggere il post di Alessandra Gennaro. Parlare di lei non basterebbe mai; descrivere il suo impegno e la sua dedizione non sarebbe esaustivo; raccontare delle sue idee, delle sue iniziative e della sua forza coinvolgente e trascinante non sarebbe mai sufficiente. Leggete direttamente le sue parole e capirete che spirito anima "questa ex ragazza"



giovedì 3 luglio 2014

Farfalle, fiori, erbe e formaggio: una montagna generosa e un cuore più leggero

A volte basta davvero poco per staccare la spina,scappare da stress e impegni metropolitani e rifugiarsi in un piccolo angolo di paradiso dove potersi ritrovare e rimettersi in pace con se stessi e il mondo. 
Quando vado in montagna la mia energia vitale ricomincia a fluire.
Mi basta fare una passeggiata, raccogliere delle erbe e dei fiori, quelle stesse di cui si cibano pecore e mucche, lasciate libere di andare dove vogliono senza guardiani e senza recinti; mi affascinano tanto questi animali perché pur mancando la presenza umana, la sera fanno ritorno nelle loro stalle.
E il loro latte, in questi angoli di paradiso, non ha eguali; e il formaggio che si ottiene è un viaggio di aromi, sapori, profumi, sensazioni intense e inebrianti.
Mi hanno regalato un pezzetto di pecorino fresco; annusandolo sento la stalla, ma questo non mi ha scoraggiata all'assaggio; in bocca poi la freschezza delle erbe, la dolcezza del latte, gli aromi dei fiori.
E ho raccolto erbe e fiori freschi portandomi a casa anche alcune lumachine che vi erano attaccate.
E tutto questo ho voluto portarlo in un piatto semplice solo all'apparenza, 



Ingredienti
350g di pasta tipo farfalle
fiori freschi eduli:
borragine
primula
sambuco
violetta
erbe aromatiche:
origano
menta
rucola selvatica
150g di caciotta di pecora fresca
olio evo d'oliva
5/6 grani di pepe nero
1 scalogno
Preparazione
Tritare finemente lo scalogno e lasciarlo appassire a fuoco dolce nell'olio insieme ai grani di pepe nel frattempo che cuoce la pasta.Aggiungere la rucola spezzetttata, scolare la pasta e mantecare nell'olio aromatico; a fuoco spento aggiungere i fiori, l'origano e la menta freschi, anch'essi spezzettati, la caciotta grattugiata e amalgamare tutto. Lasciar riposare un paio di minuti e servire.



Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...